L’inesigibilità non può assume l’ampio ruolo scusante attribuitogli da parte della dottrina, in quanto non riesce a indicare i criteri che dovrebbero presiedere alla soluzione dei diversi casi concreti. Se ci si limita ad asserire che un comportamento non è colpevole perché non era esigibile un comportamento diverso, rimane sempre senza risposta l’interrogativo + importante, ovvero quello di sapere perché non si sarebbe potuto agire altrimenti.
L’accertamento dell’esigibilità di un determinato comportamento, in presenza di date circostanze, presuppone anche che si individui il soggetto, con riferimento al quale tale verifica va condotta. Ove questo soggetto sia lo stesso agente, il rischio che si corre è di subordinare l’obbligatorietà dell’osservanza della legge agli interessi e alle passioni dei singoli.
Secondo l’opinione ormai dominante, alla non esigibilità non compete + un ruolo di causa generale di discolpa applicabile anche a prescindere da precisi riscontri di diritto positivo: questo assunto restrittivo prevale con riferimento ai reati commissivi dolosi. Viene invece, riconosciuto più spazio all’inesigibilità nell’ambito dei reati omissivi e dei reati colposi; in entrambi i casi, l’osservanza del precetto penale presuppone il possesso di determinati requisiti psico- fisici da parte del soggetto titolare dell’obbligo di condotta.
D’altra parte il ricorso alla non esigibilità come clausola extra legale non appare indispensabile neanche nei casi di conflitto di doveri e di contrasto tra nome penali e norme etiche o religiose. Nel primo caso, si può sostenere che ciò che viene meno è la stessa antigiuridicità del comportamento tenuto, per poter qualificare illecito un comportamento dobbiamo infatti, presupporre che l’obbligo di condotta violato fosse, nella situazione data, chiaro ed in equivoco.
Nel secondo caso, il diritto non può consentire a ciascuno di agire secondo le concezioni etiche o religiose individuali; dal riconoscimento del diritto alla libertà religiosa può derivare, solo l’obbligo di non sottoporre a pena fatti che consistano nel mero esercizio di quella libertà. Ma laddove si tratti di fatti socialmente dannosi, tanto + se lesivi di beni giuridici di rango primario, alla stessa libertà religiosa non possono non essere apposti limiti, determinabili in base ad un bilanciamento tra esigenze di tutela in conflitto.
In ogni caso, nell’ambito dei reati dolosi, la considerazione delle circostanze anomali concomitanti, se non vale a escludere la colpevolezza, varrà ad attenuare la misura del rimprovero e inciderà sulla graduazione della pena. La graduabilità del giudizio di colpevolezza potrà essere invocata in generale, cioè in tutti quei casi in cui le circostanze dell’agire rendono psicologicamente poco esigibile un comportamento lecito: purché però, il fatto commesso rechi una credibile impronta del conflitto motivazionale dell’agente.