Il principio fondamentale che ispira il nostro sistema è che il compito dello Stato, da realizzare attraverso la previdenza sociale, sia quello di garantire a tutti cittadini il minimo essenziale alle esigenze di vita. Il mantenimento del livello di vita raggiunto durante il normale svolgimento dell’attività lavorativa non rientra nei compiti dello stato, ma tra quelli propri degli individui dei gruppi.

La più recente disciplina legislativa, ha dapprima attenuato notevolmente il rilievo dell’interesse dei lavoratori a conservare come pensionati il tenore di vita raggiunto al termine del rapporto di lavoro, e successivamente ha previsto la progressiva sostituzione delle ultime retribuzioni o degli ultimi redditi con la contribuzione previdenziale versata durante l’attività lavorativa.

Per quanto riguarda il rapporto tra pensione, retribuzione e reddito lavorativo sotto il profilo della possibilità del cumulo, la legge aveva disposto il divieto di quest’ultimo della pensione di invalidità e di vecchiaia con la retribuzione. Successivamente, la legge ha superato questi dubbi e ha tenuto conto dei limiti derivanti dalla funzione stessa della prestazione previdenziale. Essa ha disposto che le quote delle pensioni di vecchiaia e invalidità non siano cumulabili che parzialmente.

Successivamente, pur facendo salvi i diritti acquisiti, la legge aveva vietato il cumulo totale delle pensioni di vecchiaia e di invalidità anche con il reddito di lavoro autonomo.

Questa disciplina era coerente con la funzione e la natura delle prestazioni previdenziali, tuttavia non era giusto privare del tutto della pensione chi continua a lavorare dopo il pensionamento. Al tempo stesso però il cumulo tra retribuzione o reddito da lavoro autonomo e pensione contraddiceva alla funzione di quest’ultima, posto che le prestazioni previdenziali sono erogate con esclusiva funzione di far fronte a situazioni di bisogno. Quella disciplina soddisfaceva ambedue le esigenze; infatti ammetteva il cumulo per i trattamenti minimi e per il 50 % dell’eccedenza, indicando così il limite massimo entro il quale la pensione realizzava la sua funzione.

Più di recente, il legislatore ha dovuto tener conto del fenomeno per cui pensionati, per sottrarsi al divieto di cumulo, accettavano il lavoro irregolare con conseguente evasione della contribuzione previdenziale. Per eliminare, o almeno ridurre tale fenomeno, la legge 23 dicembre 2000, n. 388 ha revocato in alcuni casi, il divieto di cumulo tra pensione di vecchiaia e redditi di lavoro autonomo o dipendente.

Dal 1° gennaio 2001 le pensioni di vecchiaia e i trattamenti anticipati sono interamente cumulabili con redditi da lavoro autonomo e dipendente. Quando gli anni di contribuzione sono inferiori a 40 e è stato ribadito il divieto di cumulo con redditi da lavoro subordinato e i limiti del cumulo con redditi da lavoro autonomo.

Resta così confermato il superamento delle concezioni mutualistico- assicurative anche per quanto riguarda la tutela previdenziale contro l’invalidità e la vecchiaia.

 

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