I criteri per la determina­zione dell’importo operano, con adeguamento alle caratteristiche degli stessi, anche al riguardo degli altri tipi di pensione.

Con la legge del 1984 è stata innovata la regolamentazione dell’invalidità e dell’inabilità ai fini pensionistici, con recente estensione della nuova normativa anche al pub­blico impiego privatizzato.

L’innovazione di maggiore im­portanza è quella del passaggio dalla capacità di guadagno alla capacità di lavoro; prima si teneva conto della possibilità del lavoratore di trovare la­voro nel proprio ambiente, con conseguente diritto alla pensione quando, pur sussistendo una residua idoneità fisica, non vi fosse la possibilità di trovare un posto di lavoro. Con la nuova legge si considera esclusivamen­te la capacità di lavoro, con diritto al trattamento pensionistico in caso di riduzione della capacità, in relazione alle attitudini professionali del lavo­ratore, senza considerare le concrete possibilità di lavoro nel proprio ambiente.

Nel caso di riduzione della capacità di lavoro al di sotto di un terzo il lavoratore ha diritto all’assegno temporaneo d’invalidità della durata di tre anni prorogabili fino ad un massimo di nove anni; al termine, l’assegno viene revocato nel caso di recupero o non aggravamento della si­tuazione d’incapacità.

La pensione d’inabilità. Se viceversa l’incapacità aumentasse fino a raggiungere quella assoluta si verificherebbe il pas­saggio dall’assegno temporaneo, non reversibile, alla pensione d’inabilità, reversibile. La pensione verrebbe riconosciuta immediatamente se l’inca­pacità fosse subito assoluta o ad essa assimilabile.

Incapacità successiva alla domanda. L’incapacità, sia ai fini dell’asse­gno che della pensione, potrebbe verificarsi, nella misura richiesta, anche dopo la domanda, nel corso del procedimento di ammissione, in quello del ricorso amministrativo o in quello del ricorso giudiziario.

L’invalidità potrebbe assumere rilevanza pure nel caso della preesistenza parziale, con aggravamento durante il rapporto (rischio parzialmente precostituito).

Il requisito di anzianità. Per il conseguimento sia dell’assegno d’invali­dità che della pensione d’inabilità occorrono l’anzianità assicurativa di cinque anni e l’anzianità contributiva di tre anni nel quinquennio.

Compatibilità con la rendita. Il trattamento pensionistico per invalidi­tà o inabilità è compatibile con la rendita vitalizia determinata da infortu­nio o malattia professionale che abbia determinato la stessa incapacità la­vorativa.

L’istituto assistenziale. A favore degli individui privi della copertura assicurativa e contributiva, iscritti nelle liste speciali o che abbiano richie­sto l’iscrizione, sono previsti, a carico del ministero degli interni, l’asse­gno d’invalidità, in caso di riduzione della capacità lavorativa di almeno un terzo e la pensione d’inabilità, in caso di perdita della capacità lavorati­va. È richiesto il requisito del reddito inferiore all’assegno sociale, in caso d’invalidità ed ai 20 milioni in caso di pensione d’inabilità; per la quale oc­corre altresì lo stato d’in collocazione al lavoro. Nel caso in cui non vengano erogate le prestazioni, il ricorso deve essere pre­sentato nei confronti dell’Inps, che è l’ente erogatore e della regione, te­nuta al pagamento delle provvidenze assistenziali (art. 130 co. 3 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 1129); per la contestazione contro gli accertamenti sanita­ri, presupposti del riconoscimento dell’invalidità o dell’inabilità, il ricorso deve essere presentato nei confronti del ministero del tesoro (artt. 5 e 6 L. 23 dicembre 1998, n. 448).

Indennità di accompagnamento. Indipendente dalla pensione d’inabi­lità è l’indennità di accompagnamento che presuppone l’impossibilità non temporanea, continuativa, della deambulazione o del compimento degli atti quotidiani. Tale impossibilità non è incompatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa, se l’invalido abbia la necessaria capacità psichica e professionale. Per gli ultrasessantan­cinquenni sono sufficienti le difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell’età.

L’indennità prescinde dalla soglia minima di reddito in quanto è rivolta a incoraggiare il nucleo familiare a farsi carico dei soggetti privi di adeguata autonomia onde evitare il ricovero in appo­siti istituti a carico della collettività (art. 1 L. 18/1980).

Il passaggio alla pensione sociale. La pensione d’inabilità, come istitu­to assistenziale, si trasforma in pensione o assegno sociale, al compimen­to di 65 anni di età, con preclusione di ogni ulteriore revisione, anche se riferita al periodo anteriore.

La pensione ai superstiti può essere quella indiretta, che viene conseguita in caso di morte del lavorato­re con una contribuzione di almeno quindici anni, o quella di reversibilità quando muore il lavoratore che abbia già conseguito il pensionamento. Non occorre il requisito dei 15 anni di contribuzione quando la morte del lavoratore sia stata determinata da causa di servizio. I superstiti conseguono la pensione iure proprio.

I superstiti. I superstiti sono il coniuge ed i figli, anche riconosciuti o a­dottati, fino a 18 anni o a 21 se iscritti a scuola media superiore o a 26 anni se iscritti all’università purché non fuori corso; non vi è limite di età nel caso d’inabilità.

Ripartizione. Al coniuge spetta il 60% ed ai figli in concorrenza il 20%; se da soli fino al 70%. Concorre anche il coniuge separato con il di­ritto al mantenimento o all’assegno alimentare o il coniuge divorziato con il diritto all’assegno di divorzio, anche in concorrenza con il nuovo co­niuge al momento della morte del pensionato o del lavoratore; occorre che sia formalmente riconosciuto l’assegno di divorzio, previsto dall’art. 5 L. 898/1970 non assumendo rilevanza corre­sponsioni di fatto o comunque diverse dall’assegno.

La pensione di reversibilità è incompatibile con la rendita Inail per malattia professionale quando la causa sia lo stesso evento, nel rispetto delle esigenze di riduzione della spesa pubblica (L. 335/1995).

Integrazione al minimo. Per l’integrazione al minimo nel caso della pensione di reversibilità occorre tener conto, secondo l’orientamento pre­valente, del reddito del de cuius non dei superstiti.

 

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