La divergenza tra voluto e realizzato può dipendere da un errore che incide sul momento formativo della volontà (errore sul fatto), oppure da un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o errore dovuto ad altra causa (es. A vuole uccidere B ma sbaglia mira e uccide C)

Aberratio ictus monolesiva

L’art. 82 comma 1° stabilisce che “quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno alla persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’art. 60.”

Si tratta quindi dell’ipotesi di aberratio ictus monolesiva, la quale si verifica, appunto, quando a causa di un errore esecutivo, mutano l’oggetto materiale dell’azione e il soggetto passivo, ma l’offesa permane normativamente identica, e di conseguenza non muta il titolo di reato.

 

Il problema del criterio di attribuzione della responsabilita’

Si dibatte se l’art. 82, comma 1°, introduca o no una vera deroga ai normali principi dell’imputazione dolosa.

Secondo l’indirizzo dominante, la norma sarebbe superflua in quanto conforme ai principi generali sull’elemento psicologico del reato. A giustificazione dell’assunto, si osserva che l’offesa in concreto realizzata è normativamente equivalente a quella voluta dal soggetto, quindi il dolo permane proprio perché x la sua configurazione basta che l’agente si rappresenti gli elementi del fatto rilevanti ai sensi della fattispecie incriminatrice considerata (sarebbe ad es. sufficiente l’essersi rappresentata la morte di un uomo e l’averla di fatto cagionata, mentre sarebbe indifferente ai fini del dolo che la persona in concreto uccisa sia A o B)

Questa tesi è però contestabile, ove si privilegi una ricostruzione del dolo che ne esalti una concreta dimensione psicologica. Non è veramente decisivo, far leva sul principio di irrilevanza normativa della specifica individualità del soggetto passivo, non si tratta di dimostrare l’esistenza di un dolo astratto, riferito ad un qualsiasi evento lesivo purchè dello stesso tipo di quello previsto dalla fattispecie incriminatrice … ma si tratta di qualificare come dolosa la causazione di un certo evento concreto. Presupposto x una tale qualificazione è la reale congruenza tra voluto e realizzato, e tale congruenza difetta nell’aberratio ictus. Manca, appunto la congruenza tra l’atteggiamento psicologico e l’evento concreto che sarebbe necessaria x considerare l’evento stesso come concretizzazione della volontà dell’agente.

Di conseguenza, l’art. 82 finisce col mascherare un’ipotesi di responsabilità oggettiva, x questo si avverte l’esigenza di una riforma volta a eliminare la discrasia tra l’attuale disciplina dell’aberatio e i principi dell’imputazione dolosa.

Parte della dottrina prospetta una reinterpretazione dell’istituto per renderlo il più possibile compatibile col principio di colpevolezza. Posto che Nelle sent. Costituzionali n. 364/88 e n. 1085/88 la Consulta ha affermato e ribadito l’esigenza secondo cui ciascuno elemento che incide sul disvalore della fattispecie penale deve essere soggettivamente collegabile all’agente almeno a tutolo di colpa, sul terreno dell’aberratio monolesiva ne consegue che per evitare che l’evento cagionato a persona diversa venga attribuito a titolo di responsabilità oggettiva, e per fa si che tale attribuzione risulti minimamente compatibile col principio di colpevolezza, occorre che il giudice accerti che l’errore esecutivo dell’agente sia dovuto a colpa, cioè ad inosservanza di una norma cautelare.

Secondo altra parte della dottrina rimane ancora non dimostrata, la possibilità di concepire un’autonoma violazione di regole cautelari, quale requisito fondamentale della colpa in senso proprio, in contesti illeciti di base incentrati su di un agire doloso: si rileva che è come se il legislatore imponesse al soggetto per un verso di astenersi completamente dal compere l’aggressione volontaria, ma nello stesso tempo, di realizzarla correttamente al fine di evitare di colpire vittime diverse da quella designata.

Se si condivide tale obiezione, per scongiurare la responsabilità obiettiva, si può richiedere che il giudice accerti ( in luogo della violazione di una vera e propria regola cautela) la mera prevedibilità in concreto, da parte dell’agente, dell’evento cagionato a persona diversa: cioè un requisito minimo di colpevolezza che, seppure non identico in tutto e per tutto alla colpa, a questo può essere assimilato.

Non ci sono però contrasti sul fatto che il vero elemento di novità introdotto dalla norma in esame riguarda l’inciso “ salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’art. 60”: in questo modo si applica, infatti, una disciplina delle circostanze orientata al principio della prevalenza del putativo sul reale.

 

Aberratio ictus plurilesiva

L’art. 82 al secondo capoverso dispone che “ qualora, oltre alla persona diversa, sa offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilità per il reato più grave, aumentata fino alla metà”.

Caso. Tizio nell’aggredire mortalmente Caio, presunto amante della moglie, per errore infligge colpi di martello anche a Sempronio intervenuto per separare i contendenti. In tal caso l’errore- inabilità provoca un evento lesivo ulteriore rispetto a quello preso di mira dall’offeso. (la situazione si verifica anche in presenza di un semplice tentativo in rapporto a una o entrambe le persone colpite).

Anche nel caso di aberratio ictus plurilesiva, si pone il problema relativo ai criteri di attribuzione della responsabilità. La soluzione più conforme alla volontà originaria del legislatore, è nel senso di ritenere che, mentre si risponde a titolo di dolo dell’offesa arrecata alla vittima designata, l’ulteriore offesa nei confronti della persone erroneamente colpita viene attribuita a titolo di responsabilità oggettiva. La norma non richiede, ai fini dell’attribuzione dell’evento non voluto, infatti, che si accerti l’esigenza di un agire colposo.

Nel caso di prima Tizio risponderà delle ferite inferte a Sempronio anche se per l’errore esecutivo in cui è incorso non può essergli mosso alcun rimprovero di imprudenza.

Pure in questo caso è secondo una parte della dottrina, prospettabile una reinterpretazione correttiva volta a rendere l’istituto + compatibile col principio di colpevolezza; pur se l’art. 82, 2° comma in proposito tace, occorrerebbe verificare che l’offesa ulteriore sia in concreto dovuta ad un atteggiamento colposo dell’agente, (o comunque sia prevedibile).

Inoltre, appare eccessivamente rigoroso il trattamento penale previsto: la sanzione complessiva risultante dall’aumento fino alla metà della pena stabilita per il reato + grave (quello attribuito a titolo di dolo), sarà superiore a quella che si applicherebbe nel caso di concorso formale di un delitto doloso con uno colposo. Sorge il problema di stabilire quale sia il trattamento applicabile quando, oltre alla persona presa di mira, si ledano più persone diverse, ovvero , mancata la vittima designata, rimangano lese solo più persone diverse.

Secondo un primo indirizzo, si dovrebbero applicare tanti aumenti di pena sino alla metà, quante sono le offese arrecate ai soggetti non designati.

Secondo altro indirizzo, dovrebbe essere applicato un secondo aumento di pena, a prescindere dal numero delle persone offese.

Secondo altri ancora, le disposizioni dull’aberatio icrus si applicheranno all’offesa non voluta + simile a quella voluta, mentre per le altre si potrà avere una responsabilità a titolo di colpa sempre che ne ricorrano i presupposti.

In realtà è preferibile limitare l’applicazione della disposizione in esame alle ipotesi espressamente previste, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem. Quindi nel caso in cui , insieme o senza la persona designata, rimangano colpiti diversi altri soggetti, è da ritenere che debba applicarsi il più benevolo regime del concorso formale del reato doloso con eventuali delitti colposi, sempre che le offese non volute siano dovute a colpa dell’agente che erra nell’esecuzione del reato.

 

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