L’Art. 47, comma 3°, stabilisce “ l’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato”.

Si distinguono:

  • Errore di percezione (es. l’agente si impadronisce di una cosa che crede propria perché simile)
  • Errore di valutazione (es. l’agente si impossessa di una cosa che crede propria perché erra nell’interpretazione della legge civile che disciplina il rapporto di proprietà).

Il problema del rapporto tra art. 47, comma 3° e art 5

Si è discusso sul perché un errore che verte su una norma extrapenale si converte in un errore sul fatto materiale idoneo a escludere il dolo. Se però, si ritiene (come è peraltro corretto) che l’errore su legge extrapenale, in sé, dia luogo ad un’ipotesi di errore di diritto, sorge il problema del rapporto tra l’art. 47 e 5 del c.p. il quale sancisce il principio ignorantia legis non excusat.

Secondo un primo orientamento, consolidato in giurisprudenza, occorrerebbe distinguere tra norme extrapenali che integrano la norma incriminatrice, in quanto ne costituiscono un necessario presupposto, e finiscono per l’incorporarsi con quest’ultima, per cui l’errore che le coinvolge non scusa allo stesso modo di un errore sul precetto; e norme extrapenali, che non integrando la norma incriminatrice, rimangono distinte da quest’ultima, per cui un errore su di esse scusa come un qualsiasi errore sul fatto.

La Corte di Cassazione però, ha tradizionalmente applicato il predetto criterio distintivo quasi sempre per sostenere la tesi della integrazione tra norma penale e norma extrapenale, con la conseguenza di negare efficacia scusante all’errore. Tale impostazione si è risolta, di fatto, di una sostanziale abrogazione dell’art. 47 comma 3°.

Tale orientamento rigoristico, subisce un parziale temperamento a seguito della sent. 364/88, che ha attribuito efficacia scusante ai casi ignoranza o errore inevitabile sulla legge penale: infatti, anche se la Cassazione, dovesse continuare a sostenere la predetta tesi, si potrebbe pervenire egualmente ad un’esenzione da responsabilità penale ove si ritenesse che l’errore in cui l’agente è incorso presenta i caratteri della inevitabilità- scusabilità. L’impunità, quindi, non conseguirebbe alla mancanza del dolo del fatto (che sussisterebbe), ma al venir meno delle legge penale quale requisito autonomo della consapevolezza.

Secondo un orientamento dottrinale, occorrerebbe invece, muovere dalla premessa che le norma extrapenali richiamate dalla norma penale integrano sempre la fattispecie incriminatrice: per cui un errore sulle prime si traduce n un errore sulla portata e i limiti della seconda; insomma, l’errore su legge extrapenale finirebbe col trasformarsi i un vero e proprio errore sulla legge penale.

Ciononostante, l’errore predetto, avrebbe efficacia scusante, in quanto l’art. 47 comma 3°, introdurrebbe una deroga espressa all’art. 5. La ragione politico- criminale di tale deroga, risiederebbe nella natura marginale delle ipotesi di errore su legge extrapenale, e nel minor valore sintomatico e sociale del fatto commesso in conseguenza di tale forma di errore.

Tale tesi trascura di considerare che vi sono ipotesi in cui l’art. 47, comma 3°, opera pur in assenza di un fenomeno di integrazione tra legge penale e legge extrapenale (es. datore di lavoro che, a causa di una erronea interpretazione delle norme attributive della qualifica di dirigente, esibisca ad un ente pubblico, per ottenere la restituzione di somme anticipate, un elenco comprendente i dirigenti per i quali non si ha diritto al rimborso. In tal caso la (presunta) truffa commessa dal datore di lavoro troverebbe causa in un’erronea valutazione sì di una norma extrapenale, ma di una norma extrapenale che non risulta affatto direttamente richiamata da una norma penale, quindi non è ipotizzabile un rapporto di integrazione).

In realtà non è necessario ricorrere alla tesi della deroga all’art. 5, perché già nel codice precedente a quello del 1889, in cui non erano presenti disposizioni analoghe all’art. 47 comma 3°, ma veniva riconosciuto il principio di inescusabilità dell’errore su legge penale, veniva riconosciuta efficacia scusante all’errore su legge extrapenale, e ciò in forza dell’applicazione dei principi generali che presiedono alla responsabilità dolosa.

Posto infatti, che il dolo presuppone la conoscenza di tutti gli elementi del fatto costituente reato, ove sia la fattispecie astratta a contenere elementi giuridicamente qualificati da norme extrapenali (elementi normativi) è giocoforza concludere che tali elementi debbano riflettersi nella mente dell’agente nel loro esatto significato giuridico.

La situazione di chi incorre in un errore sul fatto determinato dall’inesatta interpretazione di una legge extrapenale (qualificativa di un elemento di fatto del reato) è psicologicamente identica, nelle conseguenza, a quella di chi agisce sotto una falsa percezione di un dato reale; ciò che cambia è solo la fonte dell’errore, originata nell’un caso da un errata valutazione giuridica, nell’atro da una falsa rappresentazione della realtà materiale. Il terzo comma dell’art. 47 finisce col collocarsi nello stesso alveo del 1° comma, in entrambi i casi, si tratta di un errore sul fatto che costituisce reato.

 

Caso 11 Aprile 1978

Il padre di una studentessa presenta una dichiarazione non veritiera sul reddito familiare, al fine di far ottenere il presalario alla figlia: imputato di truffa ai danni dell’Opera Universitaria, il genitore si difende eccependo che le dichiarazioni non veritiere dipendono da una errata interpretazione delle norme fiscali e delle norme che regolano la concessione dell’assegno di studio.

L’errore del genitore sia sulla legge discale sia su quella attributiva dell’assegno di studio, è errore su legge extrapenale che provoca un errore sul fatto costitutivo del reato di truffa, perché il soggetto, in conseguenza dell’errore interpretativo, non si rappresenta il proprio comportamento come diretto a frodare l’Opera Universitaria.

Questa forma di errore è nettamente distinguibile da quella dell’errore su legge penale, di regola irrilevante, che si avrebbe qualora il genitore, consapevole di aver reso dichiarazioni false e dirette a carpire l’assegno di studio, fosse convinto che tali dichiarazioni non costituiscano raggiri nel senso del delitto di truffa.

Parte della dottrina e giurisprudenza ritengono che anche nel caso di errore su legge extrapenale, possa residuare responsabilità a titolo di colpa, sempre in presenza della duplice condizione che l’errore sia dovuto a colpa e il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.

 

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