Le collaborazioni coordinate e continuative sono state per anni un diffusissimo e ambiguo strumento di gestione delle risorse umane, reso ancor meno trasparente dall’assenza di una dettagliata previsione normativa. Il rapporto instaurato era, infatti, a metà tra lavoro autonomo e lavoro subordinato,il che consentiva ai datori di lavoro di evitare oneri e obblighi propri del rapporto di lavoro pienamente subordinato: tra questi la tutela delle condizioni di lavoro, il compenso previsto per il lavoro straordinario e gli oneri previdenziali. Il D.Lgs. 276, nell’intento di differenziare i rapporti di collaborazione autonoma da quelli che mascherano un rapporto di lavoro effettivamente subordinato, ha introdotto una disciplina specifica di lavoro autonomo coordinato e continuativo a progetto nell’ambito della categoria contemplata dall’art. 409 n. 3 c.p.c.

La figura tradizionale della collaborazione continuativa e coordinata, resta invariata per alcune importanti attività e settori espressamente esclusi dall’ art. 61, co. 3°. E’ il caso dei rappresentanti di commercio, delle professioni intellettuali per le quali è obbligatorio l’iscrizione in appositi albi o elenchi professionali, dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prestati per attività istituzionali nel settore sportivo non professionistico. Sono escluse, inoltre, le collaborazioni degli amministratori, o sindaci, di società, di membri di commissioni o collegi e i soggetti percettori di pensione di vecchiaia. Escluso totalmente, anche, il settore delle pubbliche amministrazioni.

Sono gli articoli compresi tra il 61 e il 69 a disciplinare il contratto di “lavoro a progetto” che deve caratterizzarsi tra l’altro per:

il contenuto prevalentemente personale della prestazione

l’assenza di un vincolo di subordinazione

la determinazione di un progetto specifico (o programma di lavoro o fase di esso) stabilito dal committente

L’attività programmata e il risultato promesso dal collaboratore, se trattasi di un progetto specifico, richiedono sicuramente una certa professionalità, mentre il programma o fase di esso, possono senza difficoltà tradursi in qualsiasi tipo di lavoro.

Questo tipo di contratto di lavoro deve rispondere a numerose caratteristiche: deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere l’indicazione della durata della prestazione di lavoro, vista come necessaria giustificazione causale e quindi requisito legale per la sua validità. A questo si aggiunge l’indicazione specifica del progetto di lavoro, o fasi di esso; la retribuzione convenuta e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore.

L’art. 65 tutela l’attività inventiva del collaboratore, riconoscendogli la proprietà intellettuale delle invenzioni realizzate durante il rapporto.

L’avvicinamento al lavoro subordinato è stato altresì rafforzato dal comma 7 dell’ art. 1 della L. n. 296 del 2006, che ha introdotto una speciale indennità di malattia per i collaboratori. Nella medesima direzione il d.m. 12 luglio 2007 ha inoltre previsto l’estensione in favore delle collaboratrici a progetto delle disposizioni di cui agli artt. 16, 17 e 22 del d. lgs. n. 151 del 200l, relativi, i primi due, al divieto di prestazione di lavoro durante i periodi di gravidanza e di puerperio e di congedo di maternità; e l’ultimo trattamento economico e normativo delle lavoratrici in casi di maternità.

Sono state così modificate, in senso estensivo, delle tutele proprie del lavoro subordinato, le norme contenute nel testo originario dell’art. 66 primo comma del D.Lgs. n. 276/2003 che limitavano a 180 giorni la durata del periodo di sospensione del rapporto per gravidanza ed escludevano l’erogazione del corrispettivo in caso di malattia e di infortunio. Resta invece inalterata la norma del comma secondo dello stesso art. 66 secondo cui la malattia o l’infortunio non determinano alcuna proroga della durata del contratto e rimane il diritto di recesso ante tempus del committente quando il periodo di sospensione del rapporto sia superiore ai 30 giorni oppure ad un sesto della durata del contratto di collaborazione.

Infine va detto che la Corte costituzionale (sentenza n. 360 del 2008) ha dichiarato parzialmente illegittima la norma dell’art. 86 primo comma che, in via transitoria, disponeva la conservazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa preesistenti alla riforma e che non fossero riconducibili ad un progetto o programma di lavoro limitatamente ad un periodo massimo di un anno dalla entrata in vigore della riforma, salva la possibilità di prevedere, nell’ambito di accordi sindacali stipulati in sede aziendale, un termine finale più lungo.

La dichiarazione di incostituzionalità ha eliminato questo speciale regime transitorio consentendo la prosecuzione dei suddetti contratti fino alla scadenza originaria (questo, per altro, senza rilevanti conseguenze politiche).Il legislatore ha configurato la collaborazione a progetto come contratto a causa c.d. rigida o tipo contrattuale vincolato.

Se un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa non presenta il suo specifico progetto, programma, o parte di esso, è da considerarsi lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di effettuazione del rapporto.

Dalla complessa disciplina appena descritta sono escluse le prestazioni di lavoro occasionale, cioè quelli derivanti da un rapporto di lavoro di durata complessiva non superiore a trenta giorni nello stesso anno solare con lo stesso committente, purché il relativo compenso non superi i 5.000 euro. Superati o la durata accennata o il compenso ricevuto, si parlerà di lavoro a progetto.

 

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