La diffusione delle collaborazioni coordinate e continuative è forse l’aspetto più notevole dell’evoluzione del nostro mercato del lavoro dagli anni ‘80 in poi. Nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa viene soddisfatto un interesse dell’imprenditore che si può dire continuativo sul piano dell’adempimento della singola prestazione oppure della reiterazione nel tempo delle singole prestazioni di risultato ma non, invece, sul piano della programmazione o coordinamento nello spazio e nel tempo dell’attività, autogestita dal collaboratore nella sua posizione di prestatore di opera senza vincolo di subordinazione.

Il D.Lgs.10 settembre 2003 n. 276 detta una disciplina specifica del lavoro a progetto, principalmente rivolta ad una ridefinizione del modello di lavoro autonomo coordinato e continuativo contemplato dall’art. 409 n. 3 c.p.c..

La figura tradizionale della collaborazione coordinata e continuativa, resta inalterata per alcune importanti attività e settori espressamente esclusi dal co. 3°.

È il caso dei rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale; delle professioni intellettuali per le quali sia necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi professionali; dei rapporti prestati per attività istituzionali nel settore sportivo non professionistico; di collaborazioni rese in qualità di amministratore di società, di membri di commissioni o collegi; di soggetti percettori della pensione di vecchiaia.

L’insieme di queste esclusioni – alle quali si deve aggiungere tutto il settore delle pubbliche amministrazioni (art. 1 co. 2°) escluse dal campo di applicazione dell’intero D.Lgs. n. 276 – contribuisce ad illuminare la ratio della nuova disciplina con la quale il legislatore ha inteso, soprattutto, distinguere le collaborazioni effettive e cioè giustificate dall’affidamento di un progetto riconducibile al lavoro autonomo da quelle fittizie e cioè rivolte a mascherare rapporti di lavoro effettivamente subordinati.

Per tutte le collaborazioni coordinate e continuative alle quali si applica il decreto sono fissati alcuni requisiti essenziali. Innanzi tutto esse devono essere «riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore».

In tal modo il legislatore ha voluto specificare la generica nozione di prestazione d’opera coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione con la nozione di progetto specifico o programma di lavoro. Tuttavia, mentre la nozione di progetto specifico allude ad un livello sufficientemente elevato di competenza o capacità professionale del collaboratore , ben più ampia e generica è la nozione del «programma di lavoro»: qui l’attività prevista e il risultato promesso dal collaboratore possono senza difficoltà essere autonomamente programmati e tradursi in qualsiasi tipo anche elementare di lavoro.

Il progetto o programma di lavoro è da considerare come la specificazione dell’oggetto della prestazione d’opera o di risultato dal collaboratore e, nello stesso tempo, come il limite alla durata del rapporto di collaborazione. La natura temporanea del progetto o comunque la limitazione temporale dell’attività necessaria per realizzarlo, si configura quale requisito legale per la sua validità.

Per quel che riguarda la disciplina del rapporto è imposta la stipulazione in forma scritta mediante un atto che indichi la determinazione della durata determinata o determinabile del rapporto, oltre che del corrispettivo, delle forme di coordinamento dell’attività e delle eventuali misure a tutela della salute e della sicurezza. Importante è la previsione per cui il compenso deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro e deve tener conto dei compensi corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo.

La sostanza parasubordinata del rapporto viene in ulteriore evidenza per effetto degli art. 65 e 66. Il primo tutela l’attività inventiva del collaboratore, riconoscendogli

la proprietà intellettuale delle invenzioni realizzate durante il ; il secondo prevede un’ulteriore anche se minima tutela del lavoratore per il caso di impossibilità temporanea

del collaboratore, riconoscendogli il diritto alla sospensione non retribuita del rapporto (co. 1°) in caso di gravidanza, malattia e infortunio: peraltro tale sospensione è garantita per un periodo minimo di 180 giorni soltanto per la ipotesi di gravidanza mentre per la malattia o l’infortunio essa «non comporta una proroga della durata del contratto, che si

estingue alla scadenza»; inoltre al committente compete il diritto di recesso ante tempus quando la sospensione si protrae per un periodo superiore ai 30 giorni o ad un sesto della durata stabilita nel contratto.

Infine, per l’art. 67 il contratto si estingue “al momento della realizzazione del progetto o programma” che ne costituisce l’oggetto (co. 1); resta salva la facoltà del recesso ante tempus per giusta causa oppure con preavviso secondo le diverse causali o modalità stabilite dalle parti (co. 2).

In base all’art. 69 i rapporti di collaborazione coordinata continuativa «instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o parte di esso ….sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di effettuazione del rapporto» (e cioè ab origine). Questo effetto di trasformazione (o c.d. conversione) legale del rapporto da autonomo in subordinato è, naturalmente, inderogabile ma non indiscriminato: infatti il co. 2° affida al giudice (e soltanto a lui) il potere di accertare la tipologia negoziale del rapporto di lavoro subordinato (a tempo determinato, indeterminato, ripartito, occasionale) effettivamente realizzato tra le parti. Va aggiunto che tale c.d. conversione in contratto di lavoro subordinato consegue dalla nullità del fittizio contratto di collaborazione ; la relativa azione di accertamento è imprescrittibile.

Le collaborazioni coordinate e continuative già esistenti alla data dell’ entrata n vigore della nuova disciplina, se «non possono essere ricondotte» a un progetto, programma o fase di esso mantengono la loro efficacia fino alla scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dall’entrata in vigore della legge.

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