In numerosi casi, l’obbligo contributivo viene ridotto allo scopo di perseguire interessi generali. In particolare, la legge prevede, a determinate condizioni ed entro certi limiti, agevolazioni contributive per tutti i datori di lavoro che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, per incentivare l’occupazione giovanile e favorire l’ingresso nel mercato del lavoro, la legge prevede anche agevolazioni contributive per particolari tipologie di contratti di lavoro subordinato, come il contratto di apprendistato, ove prevalente è l’attività di formazione.
Infine, sgravi contributivi sono previsti per i datori di lavoro che assumono, con contratto di lavoro anche a tempo determinato, lavoratori ultracinquantenni disoccupati da oltre 12 mesi o lavoratrici di qualsiasi età disoccupate da almeno 24 mesi. Infine, sgravi contributivi sono previsti anche per quella parte di retribuzione collegata all’andamento economico dell’impresa (cd. salario di produttività) stabilita da contratti e accordi collettivi aziendali o territoriali. Per effetto di questi provvedimenti, il datore di lavoro è esonerato, in tutto o parzialmente, dall’obbligo del versamento dei contributi previdenziali, a condizione che eroghi ai dipendenti trattamenti economici e normativi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di settore (cd. clausola sociale), mentre l’onere corrispondente è assunto dallo Stato.
Peraltro, poiché tali misure riducono il costo del lavoro e, quindi, concorrono ad incrementare la competitività delle imprese, esse possono talvolta creare problemi di compatibilità con il diritto comunitario, poiché quest’ultimo vieta a tutti gli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni che possano alterare le regole della libera concorrenza. Di contro, in altre ipotesi, l’obbligo contributivo non viene ridotto, bensì incrementato mediante l’imposizione di contributi di solidarietà che perseguono una finalità redistributiva. Così, contributi di questa natura sono stati imposti sia a carico di determinati fondi, gestioni o regimi previdenziali, aventi maggiori disponibilità di risorse rispetto ad altri, sia direttamente a carico dei soggetti titolari dei trattamenti pensionistici più elevati, o a quote di tali trattamenti eccedenti un determinato importo.
Nei casi in cui il rapporto di lavoro, e con esso l’obbligo retributivo, rimane sospeso per effetto di determinati eventi (malattia, maternità, infortunio, trattamenti di integrazione salariale, svolgimento di cariche pubbliche elettive, congedi parentali), la legge dispone che i periodi di sospensione si considerino comunque “coperti” da contribuzione ai fini del diritto alle prestazioni previdenziali e della determinazione del loro ammontare. È il finanziamento pubblico, attraverso il sistema fiscale, che provvede a farsi carico della contribuzione posta a carico dei datori e dei prestatori di lavoro, e da essi non versata per effetto della sospensione del rapporto, e ciò ancora una volta in attuazione del principio di solidarietà al fine di evitare che i soggetti protetti possano subire un pregiudizio per quanto attiene al futuro godimento delle prestazioni previdenziali.
Nell’ipotesi in cui, invece, il rapporto di lavoro si estingua, il lavoratore è autorizzato a proseguire volontariamente il versamento dei contributi, al fine di conseguire il diritto a pensione o ad una pensione più elevata. Agli stessi fini, è previsto anche l’istituto del riscatto che consente al lavoratore di incrementare la propria posizione contributiva computando in essa i periodi di svolgimento di corsi universitari di studio, a seguito dei quali siano stati conseguiti i relativi diplomi.
Il diritto di percepire i contributi previdenziali, di cui è titolare l’ente previdenziale, può estinguersi per prescrizione. Per tutte le contribuzioni di previdenza obbligatoria, il termine di prescrizione è di 5 anni, ma per i contributi dovuti alle gestioni pensionistiche il termine è di 10 anni se il lavoratore o i suoi superstiti abbiano denunziato all’ente previdenziale l’omissione contributiva del datore di lavoro. Per salvaguardare l’equilibrio delle gestioni pensionistiche, la legge ha disposto che i contributi prescritti non possono più essere versati neppure spontaneamente.
Pertanto, ove il lavoratore abbia denunziato l’omissione contributiva, l’ente previdenziale, titolare del diritto, è obbligato a compiere gli atti necessari per interrompere la prescrizione e recuperare i contributi non versati. Dalla prescrizione dei contributi omessi può derivare un danno per il lavoratore, costituito dalla perdita del diritto alla prestazione previdenziale o dalla maturazione del diritto ad una prestazione di importo inferiore di quella che sarebbe spettata ove i contributi fossero stati regolarmente versati. In relazione a tale danno, è riconosciuto al lavoratore il diritto al risarcimento, anche in forma specifica, mediante la costituzione di una rendita vitalizia.