La teoria dichiarativa del precedente giudiziale non è riuscita a diventare una teoria completamente sensata. Il punto di frattura della teoria attiene al livello di generalizzazione del problema che si deve risolvere. Non vi è limite sicuro alle possibilità di generalizzazione.

La teoria dichiarativa del precedente giudiziale richiede che il giudice seguente sia vincolato a considerare come regola di diritto il risultato raggiunto nella sentenza precedente sulla base dei fatti che quei giudici hanno considerato come rilevanti ai fini del decidere.

Tuttavia il problema insolubile è che la individuazione dei fatti rilevanti ai fini del decidere non è dissociabile dal livello di astrazione a cui si pone la regola di decisione. Se si pone il problema dei molti possibili livelli di generalizzazione dei fatti rilevanti diviene piuttosto artificioso sostenere che il giudice trova la regola e non la crea, perché il livello di astrazione n cui un enunciato si colloca è la regola e non mera verbalizzazione neutrale di essa.

Storicamente però la teoria dichiarativa del precedente è servita allo scopo cui mirava. In sostanza anche dopo l’abolizione delle forms of action i giudici inglesi posti di fronte all’azione del gentiluomo che lamentava la violazione della sua privacy, non potendo più sostenere che essa non rientrava nel writ of trespass dovevano porsi nella condizione di poter dire mi dispiace ma non trovo alcun precedente in cui si affermi che la condotta del convenuto sia illecita mantenendo appieno l’idea che il giudice non giudica secondo il suo capriccio ma secondo regole prestabilite.

Nel 1966 la House of Lords ha emanato un documento (practice statement) per annunciare che da allora in poi essa non sarebbe più ritenuta strettamente vincolata ai propri precedenti, pur tenendoli da conto: sepoltura ufficiale della teoria dichiarativa.

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