In materia di inadempimento di contratti a prestazioni corrispettive il giudice può intervenire con pronunzie di:

condanna all’adempimento

di risoluzione

Alla parte adempiente è data la possibilità di scegliere tra l’adempimento o la risoluzione, salvo comunque il risarcimento del danno.

Nella richiesta di adempimento il contraente adempiente vuole che il contratto sia adempiuto, anche coattivamente. La richiesta di adempimento apre la via alla c.d. esecuzione specifica dell’obbligo contrattuale rimasto inadempiuto (2930ss.), se questa non è possibile si procederà con il risarcimento integrale del danno. (vedi capitolo coazione all’adempimento).

Nella richiesta di risoluzione il contraente chiede lo scioglimento del contratto. Il fondamento va individuato nel fatto che il contratto non ha procurato al contraente deluso i vantaggi che egli prevedeva ricevere e per questo motivo deve essere libero di poter cercare sul mercato la prestazione che gli è stata promessa, voltando le spalle al vecchio contratto.

A seconda delle teorie poste alla base della risoluzione del contratto muterà anche la natura dell’intervento del giudice.

La prima teoria è quella che attribuisce natura dichiarativa all’intervento del giudice: sia nel caso che vi sia una clausola implicitamente apposta dalle parti (nel senso che ciascuna singola promessa è condizionata all’esecuzione delle contro-promessa), che nel caso che venga meno la causa del contratto, l’intervento del giudice avrà natura dichiarativa perché diretto ad accertare il mancato verificarsi della condizione o della causa.

La seconda teoria è quella che attribuisce all’intervento del giudice natura sanzionatoria, poiché la risoluzione va interpretata come una sanzione per il contraente inadempiente che perde il diritto alla contro pretesa.

La prima teoria è lontana dalla realtà: la legge è esplicita in materia di inadempimento e appare forzato immaginare una volontà implicita delle parti diretta alla risoluzione. Anche l’ipotesi del venire meno della causa non convince perché è in contrasto con il principio secondo cui la causa deve accompagnare la nascita degli obblighi contrattuali più che il loro adempimento: riportare la risoluzione alla mancanza della causa significa eliminare ogni discrezionalità del giudice nel valutare se sussistono o meno i presupposti per l’inadempimento.

La giurisprudenza ha accolto implicitamente la seconda teoria dato che richiede che l’inadempimento sia imputabile e cioè che vi sia la colpa dell’inadempiente. La teoria della sanzione spiega anche perché alla risoluzione del contratto segue la condanna al risarcimento.

Accanto alla risoluzione giudiziale è previsto un sistema di risoluzione affidato alla volontà delle parti, cioè ai loro poteri di autotutela. La ricerca del fondamento delle risoluzione volontaria pone delle perplessità:

c’è chi assimila le risoluzione volontarie simili a quelle giudiziali: elemento comune sarebbe la centralità dell’inadempimento imputabile o grave. (ruolo del giudice è comunque importante) c’è chi invece assimila le risoluzioni giudiziali a quelle volontaria, riconducendo le risoluzioni giudiziali ad un diritto potestativo della parte adempiente dove il giudice si limiterebbe ad accertare l’inadempimento (dir.potestativo/ superato il sistemato basato sul giudice).

Il secondo indirizzo non corrisponde alla realtà normativa.

Il passaggio del vecchio codice del 1965 a quello del 1942 ha indotto alcuni a ritenere superato il sistema di risoluzione fondato sul potere del giudice, tuttavia pur essendo mutato il sistema non può considerarsi superato il sistema di risoluzione fondato sul potere del giudice.

Il ruolo del giudice è ancora centrale, ad esempio è stabilito che la risoluzione (giudiziale) è condizionata alla valutazione dell’importanza dell’inadempimento, ciò evidenzia come la risoluzione non può ricondursi alla sola volontà delle parti.

Ricordiamo infine che l’inadempimento deve essere colpevole per poter giustificare l’effetto risolutivo.

Ed anche se si dovesse accettare che l’inadempimento possa essere oggettivo, pur sempre grave,resta fermo che è compito del giudice valutare gli effetti dell’inadempimento: la gravità dell’inadempimento verrà valutata sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

Queste considerazione fanno ritenere che debba essere il sistema delle risoluzioni volontaria ad essere ricondotto a quello delle risoluzioni giudiziali (primo indirizzo). Ad esempio pur nel rispetto dell’autonomia delle parti, resta fermo che il sistema delle risoluzioni volontarie si incentra sull’inadempimento imputabile pur essendo la gravità decisa dalle parti.

In conclusione possiamo dire che sia nel sistema della risoluzione giudiziale che volontaria, al centro della tutela vi è l’inadempimento e non la dichiarazione di voler risolvere il contratto.

Nelle risoluzioni giudiziali la pronuncia costitutiva del giudice esalta il ruolo dell’accertamento dell’inadempimento.

Ma anche nel sistema delle risoluzioni volontarie l’inadempimento ha un ruolo centrale e non può essere considerato un semplice elemento per rendere inattaccabile la dichiarazione di parte. Piuttosto va osservato che questo sistema, a differenza di quello giudiziale, pur fondato sui poteri privati è comunque oggetto di controllo giudiziario in seconda battuta, controllo che sarà meno incisivo ma è comunque presente.

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