La non illiceità del comportamento di colui che acquista con la consapevolezza che il proprio dante causa si è già spogliato del suo diritto disponendone a favore di un precedente acquirente si può predicare nei limiti in cui la previsione del 2644 lo consente.
L’assenza della buona fede quale requisito costitutivo dell’acquisto fa sì che non si possa considerare la semplice conoscenza della precedente alienazione (malafede) quale requisito impeditivo dell’acquisto e, ulteriormente, quale elemento soggettivo in grado di colorare di illiceità il secondo acquisto.
Ma non si potrà dire necessariamente lo stesso ove il comportamento del secondo acquirente sia caratterizzato dalla intenzione prava di nuocere al primo acquirente.
Il problema diventa quello di distinguere la semplice consapevolezza-malafede dall’intenzione puntuale di nuocere; ed ovviamente gli stati soggettivi non sono di facile accertamento.
La rilevata difficoltà ricorre nella distinzione tra dolo generico e dolo specifico, nella quale quest’ultimo è caratterizzato dalla intenzione dell’azione ad uno scopo precisamente individuato dalla norma incriminatrice.
Nella specie da noi esaminata l’esistenza di uno scopo ulteriore rispetto all’acquisto del diritto, in grado di sollecitare il secondo acquirente a stipulare nonostante la conoscenza della precedente alienazione, è indice di quella volontà di nuocere necessaria a rendere illecito il secondo atto di acquisto.
Tale illiceità , però, rileva non sul piano aquiliano ma su quello contrattuale.
Dal 2043 (Risarcimento per fatto illecito: Qualunque fatto doloso o colposo…) sembra doversi ricavare che uno stesso fatto è illecito sia che ricorra la colpa sia che ricorra il dolo, e reciprocamente che non può esser considerato lecito quando ricorra la colpa e illecito quando ricorra il dolo.
Al dolo del 2043 corrisponde la consapevolezza della precedente alienazione, che non può dirsi illecita per la mancanza di previsione del requisito della buona fede nella fattispecie del 2644.
Altro è invece l’intenzione prava di nuocere, caratterizzata dallo scopo di arrecare danno: qui la specificità del dolo si sottrae alla equiparazione instaurata dal 2043 tra i due criteri di imputazione, nella quale il dolo è la volontà di porre in essere la condotta nella semplice consapevolezza della lesione del diritto altrui.
L’idea della diversa rilevanza dell’intenzione prava di nuocere rispetto alla semplice malafede si coglie in particolare nella letteratura germanica, nella quale trova affermazione di principio generale l’indifferenza della conoscenza, che il secondo acquirente possa avere, di un precedente contratto di vendita stipulato dal medesimo venditore a riguardo dello stesso bene immobile: il secondo compratore diventa proprietario, mentre il rivenditore infedele, e lui solo, è tenuto al risarcimento del danno nei confronti del primo compratore.
Illecito diventa invece l’acquisto del secondo compratore quando è segnato dall’intento di arrecare danno al primo: in questo caso il risarcimento in forma specifica che la norma generale del § 249 BGB elegge a modello primario rispetto a quello per equivalente fa sì che il bene sia restituito dal secondo al primo acquirente.
Per giungere a tale risultato la dottrina ritiene applicabile il § 826 BGB, che disciplina una fattispecie particolare di illecito: quella nella quale il danno sia arrecato con dolo e con un comportamento contrario al buon costume.
La norma in questione non è singolare per i due aspetti menzionati, i quali per vero non giustificherebbero una regola ad hoc, essendo ricompresi nella colpa, bensì perché, diversamente dal § 823, non esige la lesione di un preciso diritto soggettivo.
La dottrina afferma perciò che il § 826 BGB contempla il risarcimento del danno meramente patrimoniale {l’altra norma alla quale nell’ordinamento germanico è riconducibile il danno meramente patrimoniale è il § 823, comma II, che prevede la risarcibilità del danno cagionato mediante la violazione di una norma posta a tutela di un interesse altrui: questa norma riceve un’interpretazione restrittiva che tende a identificare le norme di tutela con le norme penali}, onde il danno meramente patrimoniale risulta risarcibile quando il fatto sia commesso con dolo e sia contrario al buon costume.
L’assenza di una norma come il § 826 BGB induce ad escludere una tutela aquiliana del primo acquirente deluso nei confronti del secondo che per primo abbia trascritto quando pure ciò sia stato il frutto di una intenzione precisa di nuocere.