I redditi diversi

La categoria dei redditi diversi completa il quadro delle categorie reddituali. Infatti, in essa sono ricompresi alcuni proventi che resterebbero esenti da tassazione per carenza di uno o più dei requisiti richiesti dalle norme per poterli ricomprendere nelle altre categorie reddituali. Questa finalità integrativa è l’unico aspetto che accomuna i proventi che fanno parte di questa categoria. Tra le ipotesi più importante di redditi diversi ricordiamo le plusvalenze non d’impresa.

Le plusvalenze non d’impresa

Le plusvalenze non d’impresa sono tutte le plusvalenze che vengono realizzate al di fuori dell’esercizio d’impresa. Le principali ipotesi disciplinate dalla legge sono:

  1. Le plusvalenze realizzate mediante lottizzazione di terreni, o realizzazione di opere al fine di rendere i terreni edificabili e successiva vendita dei terreni e degli edifici. In tal caso, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra l’ammontare dei corrispettivi percepiti e il costo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo successivamente sostenuto;
  2. Le plusvalenze derivanti da operazioni di acquisto e vendita infraquinquennale (nell’arco dei 5 anni) di beni immobili, con esclusione di quelli acquisiti per successione o donazione. Anche in questo caso, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il costo di acquisto del bene (aumentato di ogni altro costo successivamente sostenuto) e il corrispettivo conseguito dalla rivendita. La previsione normativa del periodo quinquennale entro il quale deve avvenire la rivendita del bene è l’elemento che consente di distinguere le plusvalenze di natura reddituale da quelle che non hanno natura reddituale;
  3. Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti. In questo caso, le plusvalenze vengono determinate per differenza tra il corrispettivo percepito e il costo d’acquisto del terreno. Questa è una ipotesi che sta al di fuori dal campo delle vere e proprie plusvalenze speculative, per l’assoluta assenza di comportamenti diretti alla realizzazione di questo tipo di incrementi di valore;
  4. Le plusvalenze realizzate mediante cessioni di partecipazioni sociali qualificate. Il legislatore tributario ha sempre operato una netta distinzione tra cessione di quote qualificate e non qualificate (riservando un trattamento fiscale più oneroso alle prime), in virtù del fatto che la progressiva acquisizione di partecipazioni in una stessa società può anche essere finalizzata al conseguimento di plusvalenze. Secondo la normativa vigente, si considerano qualificate le partecipazioni che comportano una percentuale di diritti di voto in assemblea ordinaria superiore al 2% o al 20%, o una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5% e al 25%, secondo che si tratti di partecipazioni negoziate in mercati regolamentati o meno. Queste percentuali si calcolano tenendo conto di tutte le cessioni di quote fatte da uno stesso soggetto nell’arco di 12 mesi, anche nei confronti di soggetti diversi. Il reddito derivante da queste plusvalenze concorre a formare il reddito complessivo del contribuente;
  5. Le plusvalenze realizzate mediante cessioni di quote di partecipazione non qualificate. A differenza, di quanto si è visto per le cessioni di quote di partecipazione qualificate, qui le plusvalenze non concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, e sono sottoposte ad imposta sostitutiva pari al 12,5% sul loro ammontare complessivo (ad esempio le plusvalenze di borsa).

 

Gli altri redditi diversi

Oltre alle plusvalenze non d’impresa, fanno parte della categoria dei redditi diversi:

  • I redditi immobiliari che non ricadono nella categoria dei redditi fondiari. Si tratta dei redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente (perché si tratta di redditi derivanti da un utilizzo degli immobili diverso da quello valutato in sede catastale), dei redditi dei beni immobili situati all’estero (perché non possono essere iscritti nel catasto) e dai redditi derivanti dalla cessione in usufrutto dei beni immobili (perché il percettore non è il possessore del bene a titolo di proprietà o di altro diritto reale);
  • I proventi derivanti dalle attività di lavoro autonomo, o commerciale non esercitate abitualmente. Essi fanno parte dei redditi diversi per mancanza dell’abitualità, e ciò non consente di poterli inserire nelle categorie dei redditi di lavoro autonomo e d’impresa;
  • Poi abbiamo le vincite derivanti dalla partecipazione a lotterie, concorsi a premio, giochi, scommesse organizzati per il pubblico, ecc. Questi proventi non costituiscono in realtà un reddito prodotto, e l’attribuzione ad essi della natura reddituale rappresenta una apertura alla concezione del reddito entrato, motivata dalla particolare rilevanza economico-sociale di questi fenomeni. Di solito si tratta di proventi sottoposti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta;
  • Infine, abbiamo altri tipi di redditi che completano il quadro dei redditi diversi, ossia i redditi derivanti dallo sfruttamento economico di opere dell’ingegno, quando non percepiti dall’autore dell’opera o dell’invenzione (diritti d’autore percepiti dagli eredi dell’autore); i redditi derivati dall’affitto di beni mobili; i compensi corrisposti dal CONI e altre organizzazioni sportive a coloro che esercitano attività sportive dilettantistiche; e infine, ogni reddito derivante dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
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