Ogni classificazione di istituti giuridici ha rilevanza giuridica solo se riveste utilità pratica ai fini della applicazione di essi.

Alcune classificazioni delle imposte sono tramandate dalla manualistica e non sembrano avere più una qualche rilevanza.

Imposte dirette e indirette: la più convenzionale delle classificazioni è quella fra imposte dirette e indirette, incentrata sul tipo di ricchezza oggetto di tassazione.

Si dice che sono dirette le imposte che colpiscono il patrimonio ed il reddito, indirette quelle che colpiscono il trasferimento della ricchezza ed il consumo della ricchezza.

Si vuol dire che con la prima forma di tassazione si aggredisce una manifestazione diretta e sicura di ricchezza, con la seconda una manifestazione indiretta e mediata di ricchezza.

Oggi la terminologia relativa alla classificazione in esame è quasi del tutto scomparsa: le attuali imposte “dirette” sono quelle sui redditi che hanno una propria disciplina d’accertamento e di riscossione nella quale non si ripete più la vecchia terminologia.

Solo nella disciplina dei privilegi si continua a parlare di “tributi diretti” e “tributi indiretti”.
Imposte personali ed imposte reali: è una classificazione che viene fatta a proposito delle imposte sui redditi.

Quando nella determinazione dell’imposta si tiene conto di elementi che attengono alla vita della persona e non alla produzione del reddito si dice che nel tributo vi sono elementi di personalità.

Nel nostro ordinamento l’imposta personale per eccellenza è l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), che si determina tenendo conto di varie spese, diversamente ritenute necessarie.
Imposte erariali ed imposte locali: nel nostro ordinamento un’imposta può essere locale nel senso che soggetto attivo del tributo è un ente locale previsto dalla legge tributaria come creditore tributario.

Questo viene autorizzato dalla legge nazionale ad istituire un certo tributo (l’istituzione può essere facoltativa od obbligatoria).

L’atto istitutivo del tributo locale è riconducibile alla categoria degli atti amministrativi generali.

Quando è istituito un tributo locale ed il privato ritenga di essere interessato ad impugnare la delibera comunale, in quanto ritenga di essere ricompreso fra i soggetti che in base ad essa saranno tassati, può impugnare davanti al TAR tale delibera; se ritiene di non farlo, quando riceverà l’avviso di accertamento dell’imposta impugnerà davanti al giudice tributario l’avviso ed il giudice disapplicherà l’atto istitutivo, se la censura del contribuente risulterà fondata.

Ma vi è una nozione più ristretta di tributo locale: l’ente locale è solo destinatario del gettito di tutto o parte del tributo.

In tal caso la misura del gettito è solo la misura di una forma di contributo che lo Stato dà all’ente locale.

Quando si parla di “tributo locale” bisognerà vedere qual è lo scopo della legge di riferimento, vedere cioè se si assume come criterio dell’imposizione la titolarità formale del rapporto, oppure si fa riferimento al criterio economico del gettito.

L’imposta locale sui redditi (ILOR) che portava addirittura nel titolo l’etichetta di “locale” era nata invece come tributo erariale con una giustificazione (la tassazione dei redditi derivanti da patrimonio) che non aveva niente a che vedere con la potestà tributaria degli enti locali; essa veniva accertata e riscossa dallo Stato.

Per stabilire se un’imposta è locale o meno bisognerà vedere in che senso la legge, che a tale categoria fa riferimento, adotta la nozione di “locale”.
La sovraimposizione: sovrimposte e addizionali: può avvenire che la stessa manifestazione di capacità contributiva venga assunta ad oggetto di tassazione o in via ordinaria da parte di soggetti diversi (lo Stato da una parte ed un ente locale dall’altra) o dallo stesso soggetto, in via ordinaria con una tassazione ed in via straordinaria con una tassazione concorrente.

Tale concorso di più tassazioni sullo stesso oggetto sia da parte di più soggetti che da parte di un solo soggetto attivo può assumere due forme tecniche:

la sovrimposta: sulla stessa base imponibile concorrono le aliquote di più tributi, quella tipica e l’altra detta appunto sovrimposta.

L’imposta principale viene detta imposta “madre”, la sovrimposta viene detta imposta “figlia”;
l’addizionale: è una somma che si ottiene applicando una seconda aliquota, a favore dello stesso soggetto attivo o di un altro soggetto, non all’imponibile ma all’imposta del tributo principale.
Imposte fisse e periodiche: la classificazione è fatta tenendo conto della durata del presupposto nel tempo.

Se la durata del presupposto non è istantanea ma si prolunga nel tempo occorre che il legislatore introduca una sua limitazione convenzionale, sicché la parte di attività o di situazione che cade in esso può fondare una tassazione autonomamente determinabile.

L’attività che si prolunga nel tempo per sua natura può essere il possesso di patrimonio o la produzione di reddito.

La legge tributaria delimita tali situazioni a carattere tendenzialmente continuo con un lasso di tempo, detto periodo d’imposta, e rende autonomamente tassabile il possesso di patrimonio o la produzione di reddito ad esso imputabili con criteri tecnici convenzionali.

Scopo pratico di questa delimitazione temporale è pervenire alla individuazione di una obbligazione che abbia un oggetto determinato.

Le caratteristiche di tali obbligazioni sono le seguenti:

ad ogni periodo corrisponde una obbligazione tributaria autonoma: gli utili di un periodo non si compensano, di regola, con le perdite di un altro periodo;
la legge può porre una presunzione di continuità dell’attività produttiva o per stabilire che una volta nata l’obbligazione si rinnova automaticamente salvo prova contraria (era il regime vigente prima della riforma) o solo per imporre al contribuente certi obblighi: oggi chi ha prodotto un reddito in un certo periodo è obbligato a versare in acconto un anticipo d’imposta per l’anno successivo ragguagliato all’anno precedente.

L’obbligazione relativa ad un’imposta periodica non è periodica nel senso civilistico del termine, perciò ad essa non si applicano le regole civilistiche in tema di obbligazioni periodiche.
Imposte fisse, proporzionali, progressive: è una classificazione attenta alla misura dell’imposta espressa per lo più dal tasso d’imposta od aliquota.

È fissa l’imposta che viene prevista dalla legge stessa in misura determinata: al verificarsi di un certo presupposto è dovuta la somma di lire 100.

Ma le imposte fisse possono essere configurate più come tasse.

È proporzionale l’imposta che si applica in misura percentuale (es.: 10%) che non varia col variare della base imponibile.

L’imposta è detta graduale quando l’aliquota è commisurata a 1000 anziché a 100.

È progressiva l’imposta la cui aliquota varia in modo crescente col crescere della base imponibile.

La progressività è continua quando ad ogni variazione della base imponibile, anche infinitesimale, corrisponde una variazione della aliquota secondo una formula matematica che assicura la continuità della rispondenza.

Si ha invece la progressività a scaglioni quando l’aliquota varia solo in quanto il reddito è aumentato di una certa entità – detta scaglione – con l’ulteriore conseguenza che ad ogni scaglione corrisponde una sola aliquota.

La progressività può essere ottenuta anche mediante detrazioni di somme dall’imposta; il che produce un effetto analogo a quello della aliquota.
Imposte principali, complementari e suppletive: è una classificazione formulata dalla legge per alcuni tributi e che potrebbe avere una sua rilevanza di classificazione valida per tutte le imposte.

È detta principale l’imposta che l’amministrazione liquida in base ad una prima ricognizione della materia tassabile (registrazione dell’atto).

La differenza d’imposta che l’amministrazione può liquidare successivamente (imposta successiva) può essere dovuta a due ordini di cause: l’errore della stessa amministrazione da una parte e tutte le altre cause dall’altra.

Nel primo caso, errore dell’amministrazione, l’imposta è detta dalla legge di registro “suppletiva”, in tutti gli altri casi è detta “complementare”.

Il privilegio per i tributi indiretti non si può esercitare in pregiudizio dei diritti acquisiti successivamente dai terzi, quando si tratti di imposta suppletiva (2772 c.c.); il ricorso del contribuente di regola non sospende la riscossione, a meno che non si tratti di imposta suppletiva, che viene riscossa dopo la decisione del giudice di secondo grado.

 

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