La riscossione in diritto tributario è data da una serie di atti, sia del privato che della finanza, che tendono a precedere cronologicamente l’accertamento definitivo.

Questa precedenza si fonda su questi istituti:

il versamento di acconti, sia da parte del contribuente che da parte di terzi (sostituti d’imposta) per suo conto;
il potere dell’amministrazione di ordinare pagamenti, prima della definitività del debito, sia sulla base della dichiarazione, quando non sia stato assolto l’obbligo del versamento, sia quando penda la lite, quando cioè l’accertamento è stato impugnato davanti al giudice tributario;
il rimborso dell’imposta quando gli acconti ed i pagamenti effettuati pendente il giudizio siano maggiori dell’imposta definitivamente accertata.

Le leggi che disciplinano le singole imposte prendono in considerazione o aspetti particolari del diritto al rimborso o la procedura necessaria perché si provveda al rimborso, ma manca una regola generale che imponga al fisco di provvedere alla restituzione delle imposte indebitamente riscosse.

Il 2033 c.c. (Indebito oggettivo: Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda), rappresentando un principio di diritto comune, dovrebbe trovare applicazione anche in campo tributario.

Nella riscossione l’atto del privato è detto versamento; si versa l’imposta dichiarata, scomputando gli eventuali acconti, anch’essi versati sia da parte del contribuente che di terzi per suo conto.

Per effetto di una regola introdotta dallo Statuto del contribuente, questi può compensare eventuali crediti che abbia verso l’Amministrazione col suo debito fiscale.

Dopo la riforma del 1973, l’atto della finanza contenente l’ordine di pagare rimane l’iscrizione a ruolo per quasi tutte le imposte (prima vi era anche l’ingiunzione fiscale, per alcune imposte indirette).

Gli atti della riscossione – iscrizione a ruolo ed ingiunzione fiscale – si caratterizzano per una certa loro astrattezza in quanto producono sempre lo stesso effetto, obbligano il contribuente a pagare quanto risulta dal loro contenuto e diventano titoli per l’esecuzione forzata in caso di inadempimento.

I crediti tributari dello Stato sono crediti privilegiati (2752 ss. c.c.).

La conseguenza processuale di tale profilo è che quando si è obbligati a pagare per un ordine dato dall’amministrazione con uno degli atti in esame, non fondato su un debito certo, si ha diritto al rimborso anche se non si è impugnato l’atto.

L’atto della riscossione insomma non è atto d’accertamento od atto equivalente e perciò la sua mancata impugnazione non preclude, in linea di principio, la ripetizione dell’indebito.

Gli atti della riscossione sono titoli per l’esecuzione forzata.

Tale esecuzione si differenzia da quella comune per l’assenza di alcune opposizioni previste dal codice di procedura civile (615 e 617), assenza preordinata a rendere l’esecuzione più rapida.

La nuova disciplina del contenzioso tributario attribuisce al giudice il potere di sospendere la riscossione fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado quando dall’atto impugnato possa derivare al contribuente un danno grave ed irreparabile.

L’amministrazione ricorre all’iscrizione a ruolo quando il contribuente non versa spontaneamente l’imposta dovuta e quando viene accertata dall’ufficio un’imposta non dichiarata.

I titoli che fondano l’iscrizione a ruolo sono la dichiarazione, l’avviso d’accertamento, la sentenza del giudice.

Dire “ruolo” vuol dire riscossione affidata ad un soggetto estraneo all’amministrazione, chiamato “agente della riscossione”.

La funzione di agente della riscossione può essere attribuita alle s.p.a. con capitale sociale superiore ad un certo ammontare aventi per oggetto la gestione in concessione del servizio.

All’agente della riscossione vengono consegnati i ruoli dall’ufficio regionale delle entrate.

I ruoli sono elenchi di contribuenti in ordine alfabetico che indicano, per ognuno di essi, le generalità (o la denominazione o la ragione sociale per le persone giuridiche), il domicilio fiscale, il periodo d’imposta, l’imponibile, l’aliquota, l’imposta, la motivazione, l’ammontare delle imposte già versate, l’imposta di cui si chiede il pagamento, gli interessi e le sanzioni amministrative pecuniarie.

La voce del ruolo relativa ad un singolo contribuente è detta iscrizione a ruolo, contro la quale è ammesso ricorso al giudice.

È stata soppressa la regola del “non riscosso come riscosso”, secondo la quale il concessionario era tenuto a versare a determinate scadenze le somme iscritte a ruolo, avendo poi il diritto al rimborso delle somme praticamente inesigibili.

L’agente di riscossione non acquista la titolarità del credito d’imposta ma solo l’esercizio di esso.

La notificazione dell’iscrizione a ruolo, che viene fatta dall’agente mediante la notificazione della cartella di pagamento, obbliga il contribuente a pagare entro 60 giorni.

Decorso inutilmente tale termine, il concessionario procede all’espropriazione forzata.

Se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notificazione dell’avviso di mora, contenente l’invito a pagare entro 5 giorni.

Il ricorso contro l’iscrizione a ruolo non sospende la riscossione.

Gli effetti dell’iscrizione a ruolo si riassumono così:
la legittima iscrizione a ruolo non comporta l’acquisizione definitiva della somma riscossa;
l’accertamento definitivo dell’imposta può fondare un diritto al rimborso della somma riscossa in base all’iscrizione a ruolo, a qualsiasi titolo l’iscrizione sia avvenuta;
il giudizio circa l’esistenza e la misura del debito per il verificarsi di un certo presupposto, oggetto di una previsione di legge, è autonomo rispetto al giudizio sulla legittimità dell’iscrizione a ruolo.

L’atto iniziale del procedimento di riscossione coattiva è l’ingiunzione fiscale, la quale consiste nell’ordine emesso dal competente ufficio dell’ente creditore di pagare entro 30 giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta.

L’ingiunzione sopravvive come istituto della riscossione coattiva degli enti locali (comuni e province), quando essi provvedono in proprio alla riscossione coattiva e non ricorrono al concessionario.

L’ingiunzione presenta le seguenti caratteristiche:
contiene l’indicazione del debito d’imposta;
contiene l’ordine di pagare;
è il titolo esecutivo per la riscossione di alcune imposte indirette, l’atto necessario e sufficiente a legittimare l’esecuzione forzata.

Nello schema di applicazione delle imposte indirette è previsto il versamento del tributo da parte del contribuente o di sua iniziativa od in base alla liquidazione dell’imposta effettuata dall’ufficio.

Qualora quest’ultimo riscontri l’esistenza di una differenza dell’imposta notifica al contribuente un avviso di accertamento ed un avviso di liquidazione invitandolo ad adempiere.

Solo nell’ipotesi in cui il contribuente non paghi, l’ente provvederà a creare il titolo esecutivo mediante l’emissione dell’ingiunzione fiscale, ove prevista, ovvero mediante l’iscrizione a ruolo.

L’ingiunzione non accerta dunque l’esistenza del debito nascente dal presupposto, ma costituisce espressione del potere di riscuotere.

L’ingiunzione fiscale è emessa dall’ufficio tributario dell’ente impositore.

Deve essere vidimata e resa esecutiva dal giudice dell’esecuzione nella cui giurisdizione ha sede l’ufficio che la emette.

La vidimazione del giudice non trasforma l’ingiunzione da atto amministrativo in atto giurisdizionale, ma si sostanzia in una sorta di controllo formale del titolo emesso dall’ente in modo da attribuirgli efficacia esecutiva.

L’impugnazione dell’ingiunzione non sospende la riscossione.

La sospensione può essere disposta dallo stesso ente impositore.

Anche l’ingiunzione fiscale va impugnata davanti al giudice tributario, in quanto atto equipollente a quello di accertamento.

 

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