La nozione di conflitto di attribuzione tra diritto e prassi
La legge 87/53 prevede che nel caso in cui lo Stato o la Regione invadano lo spazio di competenza altrui, sia possibile per l’ordinamento leso adire la Corte Costituzionale. Nel Trentino legittimate al ricorso sono anche le province autonome.
Nella prassi tuttavia la disposizione suddetta è stata interpretata in senso estensivo. Lesione di competenza non si avrebbe solo nel caso di invasione della propria sfera di attribuzione, ma anche ad esempio quando l’uno esercita le proprie competenze in maniera distorta, tanto da menomare le competenze dell’altro.
Inoltre affinché si possa ricorrere dinnanzi alla Corte Costituzionale, è necessario, nel caso dei conflitti da omissione, che omesso sia stato un atto dovuto e che il ricorrente abbia un interesse attuale e concreto.
Idonei a causare un conflitto di attribuzione sono tutte le manifestazioni di volontà in ordine all’affermazione di una propria competenza, purché non si tratti di una legge o atto avente forza di legge. Infatti in quel caso si rientrerebbe nell’ipotesi di illegittimità costituzionale e non nel conflitto di attribuzione.
Tra gli atti statali sono impugnabili anche quelli giurisdizionali, purché vi sia stato uno sconfinamento assoluto del magistrato dai limiti della funzione giurisdizionale.
La sfera di competenze che gli enti possono tutelare agendo dinnanzi alla Corte può essere determinata non solo dalla Costituzione o da norme formalmente costituzionali, ma anche da norme contenute in fonti ordinarie, che siano attuative o integrative di prescrizioni costituzionali sulla competenza.
Inoltre la giurisprudenza ha ammesso che l’esercizio delle funzioni delegate dallo Stato alle Regioni possa dar luogo a conflitti. La Corte infatti ha sancito che il trattamento riservato agli atti riconducibili alle funzioni proprie debba estendersi anche a quelli espressione delle funzioni delegate, sempre che esse non siano soggette a poteri concorrenti dello Stato e sempre che costituiscano un’integrazione necessaria delle competenze proprie.
La proposizione del ricorso e la risoluzione del conflitto
Il ricorso è proposto nel termine di 60 gg dalla notificazione o dalla pubblicazione o dall’avvenuta conoscenza dell’atto, per lo Stato dal Presidente del Consiglio previa delibera del Consiglio dei Ministri, e per la Regione dal Presidente della Regione previa delibera della Giunta.
È prevista la possibilità di rinunziare al giudizio, purché la manifestazione di intenti in tal senso proveniente da una parte, sia accettata dall’altra.
La Legge La Loggia ha inoltre previsto un’ipotesi di abbandono dei ricorsi. Infatti essa fa carico a coloro che hanno fatto ricorso prima della riforma del titolo V, di chiedere la trattazione dello stesso nel termine di 4 mesi dal ricevimento della comunicazione di pendenza del procedimento da parte della cancelleria della Corte. In difetto di tale istanza il ricorso si considera abbandonato.
La Corte può predisporre la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato qualora ricorrano gravi motivi. Inoltre potrà impugnare dinnanzi a se stessa l’atto che ha causato il conflitto.
La Corte decide in via definitiva con sentenza, nella quale dichiara a quale dei due enti spetta la competenza e, se è stato emanato atto viziato, lo annulla. Tali sentenze hanno tuttavia efficacia circoscritta e non definiscono una volta per tutte l’attribuzione della competenza in questione.
Per quanto riguarda i conflitti tra Regione e Regione, il riparto delle competenze amministrative è tale da non renderne impossibile la sopravvenienza.
Molto sentita poi è la problematica inerente l’impossibilità di accedere alla Corte Costituzionale per gli enti locali ai quali l’art 118 attribuisce le competenze di natura amministrativa. Tuttavia le timide apertura riscontrate nella giurisprudenza sul giudizio in via principale lasciano delle speranze.