Il ricorso per cassazione può proporsi soltanto per i seguenti motivi (art. 606 co. 1):

  • esercizio da parte del giudice di un potere riservato dalla legge ad organi legislativi o amministrativi (es. revoca di un atto amministrativo) o non consentito a pubblici poteri (es. condanna di una persona immune) (eccesso di potere);
  • inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altra norma giuridica della quale si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale. Si tratta evidentemente di errori in iudicando, che si verificano, ad esempio, quando il giudice ha qualificato erroneamente il fatto;
  • inosservanza delle norme processuale stabilite a pena di nullità, di inammissibilità, di inutilizzabilità o di decadenza (errori in procedendo);
  • mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’art. 495 co. 2. Tale motivo di ricorso in particolare è ammissibile alle seguenti condizioni:
    • deve trattarsi di prova contraria a quella che sia stata ammessa, a prescindere dal modo di ammissione. Ai sensi dell’art. 495 co. 2, in particolare, è prova contraria quella prova che, avendo per oggetto il medesimo fatto, è finalizzata a dimostrare che lo stesso non è avvenuto o che si è verificato con una differente modalità;
    • deve trattarsi di prova decisiva, ossia di quella prova che è idonea ad incidere in modo significativo sul procedimento decisionale seguito dal giudice e da determinare una differente valutazione complessiva dei fatti ;
    • l’assunzione della prova contraria deve essere stata chiesta al momento delle richieste di prova all’inizio del dibattimento o anche nel corso dell’istruzione dibattimentale;
    • mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame. Disciplinando tale motivo, il legislatore ha inteso disciplinare il controllo sui vizi di motivazione al fine di evitare che la corte di cassazione eserciti un accertamento di merito:
      • mancanza della motivazione: si fa riferimento non tanto al deficit grafico della motivazione (mancanza formale), che rientrerebbe nel terzo punto, quanto piuttosto ad una carenza sostanziale del discorso logico (mancanza dell’argomentazione su uno degli imputati, su una delle imputazioni o su un punto necessario ai fini del giudizio) (art. 546 co. 1 lett. e). La motivazione per relationemad un altro atto del processo è ammessa purché rispetti i seguenti limiti:
        • che vi sia la medesima provenienza soggettiva, cosa che non accade se si tratta di un atto del pubblico ministero;
        • che l’atto abbia la medesima struttura, non essendo possibile un rinvio ad un atto che non contiene una valutazione;
        • che l’atto a cui si rinvia sia precedente e non successivo;
        • che le parti siano state messe in grado di conoscere l’atto;
        • che la parte impugnante non abbia introdotto un nuovo motivo di lagnanza rispetto alla precedente decisione;
  • manifesta illogicità della motivazione: in questo caso l’argomentazione esiste, ma manca la logicità del contenuto (es. premesse poco probabili). La cassazione, quindi, deve controllare la correttezza dell’inferenza probatoria, ossia il rapporto tra la premessa (fatto noto) e le conclusioni (fatto accertato).

All’interno della manifesta illogicità si ritiene che si collochi il vizio di contraddittorietà logica della decisione (vizio di logica formale), che si ha quando vi è contrasto tra le argomentazioni, a prescindere dal contenuto di queste, perché il giudice non ha fatto uso della logica comune, ossia dei principi di non contraddizione, di identità e del terzo escluso (es. inconciliabilità tra motivazione e dispositivo);

  • contraddittorietà processuale della motivazione, che si ha quando vi è contrasto tra gli atti processuali e la motivazione. Tale vizio, in particolare, sussiste:
    • quando la motivazione non rispetta le acquisizioni processuali perché distorce i risultati probatori (travisamento delle risultanze probatorie);
    • quando si motiva su di una prova non risultante dagli atti (travisamento degli atti di invenzione);
    • quando la sentenza non motiva su di una prova che è stata acquisita (travisamento per omissione).

Occorre comunque tener presente che la giurisprudenza maggioritaria riconosce il vizio di prova omesso o travisata soltanto quando l’accertata distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio per l’essenziale forza dimostrativa del dato processuale trascurato o travisato.

In base al testo del codice del 1988, i vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione dovevano risultare dal testo del provvedimento impugnato . La l. n. 46 del 2006 ha aggiunto la possibilità che il vizio potesse risultare anche da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (impugnazione) .

Alla luce di quanto detto, dai motivi del ricorso per cassazione resta fuori una valutazione di merito, ossia un giudizio sulla credibilità della fonte e sull’attendibilità della dichiarazione (rapporto tra elemento di prova e risultato probatorio). Tale limite è giustificato dalla stessa natura del ricorso per cassazione: esso, infatti, non rappresenta un terzo grado di giudizio, bensì un controllo di legittimità a presidio dell’imputato e della collettività.

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