L’art. 65 ord.g., prima di stabilire che la Corte ha sede a Roma e ha giurisdizione su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato , attribuisce alla Corte suprema di Cassazione le seguenti tre funzioni (co. 1):

  • assicurare l’esatta osservanza (da parte dei giudici) e l’uniforme interpretazione della legge (nomofilachia);
  • garantire l’unità del diritto oggettivo nazionale: lo scopo ultimo del ricorso per cassazione è conforme ad un interesse che trascende quello coinvolto nella singola controversia, l’interesse generale all’unificazione della giurisprudenza. Tale funzione assume un rilievo costituzionale nella misura in cui è diretta ad attuare l’art. 3 (parità di trattamento) e ad assicurare che tra le possibili interpretazione della legge una prevalga sulle altre;
  • vigilare sul rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni e regolare i conflitti di competenza e di attribuzione.

Le disposizioni del codice di procedura dalle quali si desumono queste funzioni sono le seguenti:

  • l’art. 70 co. 2, secondo cui il pubblico ministero deve intervenire in ogni causa davanti alla Corte di cassazione e l’art. 379 che, disciplinando l’udienza in cassazione, dispone che dopo il relatore e gli avvocati prende la parola il pubblico ministero che espone oralmente le sue conclusioni motivate ;
  • l’art. 363 che attribuisce al procuratore generale presso la Corte di cassazione la legittimazione a proporre il ricorso all’interesse della legge senza che le parti possano giovarsi dell’eventuale cassazione della sentenza (interesse pubblico).

Perché la Corte possa svolgere efficacemente la funzione di nomofilachia, è necessario che:

  • sia un organo unitario, condizione questa che è stata soddisfatta solo con il r.d. n. 601 del 1923, che soppresse le cinque Cassazioni regionali sopravvissute all’unificazione;
  • sia composto da un numero ristretto di giudici, condizione questa imprescindibile dal momento che quanto maggiore è il numero dei giudici addetti all’organo, tanto maggiore è la possibilità che le stesse questioni di diritto siano decise contraddittoriamente. L’eccessivo numero di ricorsi propostiannualmente alla Corte di cassazione (3.000 ca.), tuttavia, impedisce lo snellimento che sarebbe necessario per assicurare l’uniformità completa. Molteplici sono i fattori che incentivano la proposizione di un numero così ampio:
    • l’inappellabilità di alcune sentenze di primo grado (art. 117 co. 7 Cost.), ossia l’eliminazione del fondamentale ruolo di filtro svolto dalla Corte di appello;
    • la facilità con cui la stessa Corte disattende i suoi precedenti, incitando i ricorrenti a sperare che un orientamento tendenzialmente contrario possa essere disatteso.

Un superamento dell’attuale situazione di crisi della Cassazione sarebbe possibile solo qualora si attribuisse alla Corte il potere di selezionare i ricorsi su cui pronunciarsi sulla base del grado di interesse generale da essi coinvolto. Per arrivare ad un simile risultato, tuttavia, occorrerebbe:

  • prendere atto della diversità di funzioni tra cassazione civile e cassazione penale: mentre la prima assolve la funzione di massima garanzia soggettiva dell’imputato (artt. 111 co. 7 e 27 co. 2), la seconda sembra configurabile unicamente come garanzia oggettiva dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’inesatta interpretazione della legge;
  • rivitalizzare la Corte di appello quale organo giudiziario deputato ad assicurare e tendenzialmente ad esaurire le esigenze di garanzia soggettiva dell’impugnazione;
  • prendere atto dell’estrema problematicità di attribuire alla cassazione civile il potere di selezionare i ricorsi sulla base dell’interesse generale da essi coinvolto e delle conseguenti necessità di modifica dell’art. 111 co. 7;
  • procedere ad una radicale revisione dei criteri di scelta dei giudici di cassazione civile, allo scopo di assicurare al massimo l’autorevolezza dell’organo che sarebbe chiamato all’esercizio di poteri sostanzialmente discrezionali.

La l. n. 533 nulla dice in ordine alle impugnazioni diverse dall’appello. Riguardo al ricorso per cassazione l’unico vero problema che si pone è quello di acclarare entro che misura gli errori sul rito possono essere denunciati come motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4. A detta di Andrioli, la parte soccombente non può limitarsi a denunciare che si sia a torto sperimentato il rito speciale per una causa ordinaria e, di converso, il rito ordinario per una controversia in materia di lavoro, ma deve specificare quali disposizioni sono state erroneamente applicate ad una causa ordinaria e quali disposizioni sono state violate in una controversia che, pur avendo ad oggetto uno dei rapporti di cui agli artt. 409 e 442, è stata in grado di appello con il rito ordinario . Quanto al giudizio di rinvio, è pacifico che esso:

  • si svolge nelle forme del rito speciale ex art. 434 ss. se il rinvio è innanzi ad un giudice di pari grado di quello che ha pronunciato la sentenza di appello cassata;
  • si svolge nelle forme del rito speciale ex art. 414 ss. se il rinvio è al primo giudice.
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