Inammissibilità

Il giudice non può esaminare nel merito una richiesta avanzata da una parte del procedimento, quando tale richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla legge a pena di inammissibilità. Tali requisiti, in particolare, si riferiscono:

  • al tempo entro il quale deve essere compiuto l’atto (es. impugnazione ex art. 591 co. 1);
  • al contenuto dell’atto;
  • ad un aspetto formale dell’atto;
  • alla legittimazione al compimento dell’atto (es. la ricusazione presentata dal soggetto che non ne ha il diritto è inammissibile ex art. 41).

L’inammissibilità viene rilevata dal giudice su eccezione di parte o di ufficio. Quando la rileva, in particolare, il giudice dichiara unicamente l’inammissibilità della domanda, senza decidere sul merito della stessa. Dal momento che il codice non stabilisce un termine entro il quale la domanda debba essere eventualmente dichiarata inammissibile, il giudice può rilevare tale invalidità fino a che la sentenza sia divenuta irrevocabile.

Decadenza

La decadenza comporta la perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine perentorio. L’atto eventualmente compiuto oltre tale termine risulta giuridicamente invalido (inammissibile), cosa questa da cui si desume la fissazione di due sanzioni processuali:

  • relativamente all’estinzione del potere di compiere l’atto (sanzione soggettiva), si fa riferimento al concetto di decadenza;
  • relativamente al regime dell’atto compiuto oltre il termine (sanzione oggettiva), si fa riferimento al concetto di inammissibilità.

Occorre sottolineare che lo svolgersi del procedimento penale comporta una successione di atti, la cui cadenza viene imposta dai cosiddetti termini (art. 172), i quali possono essere:

  • perentori, se prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo, stabilito dalla legge in modo tassativo (art. 173 co. 1). Tali termini perentori non possono essere prorogati, salvo che la legge non disponga altrimenti (co. 2).
  • ordinatori, se prescrivono il compimento di un atto entro un determinato periodo di tempo, il cui trascorrere, tuttavia, comporta conseguenze non di tipo processualistico ma disciplinare. Qualora la legge non preveda la decadenza o l’inammissibilità, l’atto compiuto oltre il termine si considera valido e il termine stesso si ritiene di tipo ordinatorio;
  • dilatori, se prescrivono che un atto non possa essere compiuto prima del loro decorso.
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