La partecipazione a distanza vuole realizzare obiettivi di economia processuale riducendo le traduzioni dei detenuti ed i tempi del dibattimento, nonché, se del caso, fornire effettività al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. L’esame a distanza vuole, invece, prevalentemente, garantire la sicurezza personale del dichiarante. Appare, quindi, privo di significato interrogarsi se gli istituti in parola diano vita a realtà fenomeniche diverse da quelle prese in considerazione dalla disciplina codicistica: la risposta affermativa suonerebbe assolutamente scontata stante l’impossibilità di ridurre a zero la differenza tra il cosiddetto processo virtuale, di cui già oggi molti discorrono, ed il processo attuale.

In virtù dell’art. 146-bis comma 1° disp. att. la partecipazione a distanza è attivabile in presenza di due presupposti. In primo luogo, deve trattarsi di un dibattimento relativo ad uno dei reati indicati dall’art. 51 comma 3-bis o dell’art. 407 comma 2° lett. a n. 4. In secondo luogo, l’imputato deve trovarsi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere. Non rileva che la detenzione dipenda dall’applicazione della custodia cautelare o dalla espiazione di una pena. A tal punto, nasce l’obbligo per il giudice di valutare se sia integrata una delle due ipotesi enunciate dall’art. 146-bis comma l° disp. att.

La prima – lett. a – rimanda a   parametri notoriamente «aperti» quali sono le «gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico». La seconda ipotesi – lett. b – fa leva su un parametro di prevalente natura oggettiva. Qui si coglie appieno l’esigenza di economia processuale sottostante al disegno di evitare il cosiddetto «turismo giudiziario», in quanto gioca la particolare complessità del dibattimento, congiunta all’esigenza che la partecipazione a distanza risulti necessaria ad evitare ritardi nello svolgimento dell’udienza. Valgono, invece, fattori quali il numero degli imputati o delle imputazioni, il numero e la natura delle prove da assumere.

Tra i parametri da valutarsi, la norma esplicita poi il «fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie». Una terza ipotesi di partecipazione a distanza si delinea con esclusivo riferimento alla sottoposizione alle misure di cui all’art. 41-bis comma 2° ord. penit.

Qui il «turismo giudiziario» e impedito per evitare che sia sfruttato dall’imputato al fine di mantenere contatti con le organizzazioni criminali. Pertanto, la partecipazione a distanza scatta nei dibattimenti nei confronti di detenuti sottoposti al regime in discorso pur senza che essi siano imputati, in quel processo. Ai sensi dell’art. 146-bis comma 7° disp. att. la videoconferenza può interrompersi con il conseguente ripristino della partecipazione fisica del-l’imputato

Ciò se occorre procedere a confronto o ricognizione dell’imputato od altro atto che implichi l’osservazione della sua persona, sempre che il giudice, sentite le parti, ritenga indispensabile la presenza dell’imputato. La partecipazione a distanza va, in via ottimale, disposta anteriormente all’inizio della prima udienza dibattimentale per evitare che essa si tenga con l’imputato presente e, al contempo, per rendere più agevole l’opera della difesa chiamata ad affrontare i profili organizzativi scaturenti dall’attivazione del collegamento a distanza.

Preso in assenza del contraddittorio il provvedimento assume, in tal caso, forma di decreto motivato che deve essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti almeno dieci giorni liberi prima della data fissata per l’udienza. La partecipazione a distanza può essere disposta, altresì, nel corso dello svolgimento dell’udienza dibattimentale. Divenuto funzionalmente competente il collegio, il provvedimento assume, a seguito della doverosa instaurazione del contraddittorio, forma di ordinanza, ma alla difesa va concesso un termine adeguato per fronteggiare il nuovo scenario.

Naturalmente, la forma dell’atto reagisce sul profilo dell’impugnabilità: esclusa quella del decreto, l’ordinanza potrà essere appellata, in forza dell’art. 586 comma 1°, congiuntamente con la sentenza. L’equiparazione della postazione remota — in genere una saletta situata all’interno di uno stabilimento carcerario — all’aula di udienza, decretata dal 5° comma, costituisce una fictio iuris carica di risvolti normativi per-ché estende le regole dettate per il contesto spaziale e temporale dell’udienza dibattimentale.

Ne segue che al presidente del collegio resta affidato, anche rispetto alla postazione remota, il potere di direzione del dibattimento, ivi compreso quello di decidere, senza formalità, sulle questioni relative alle modalità del collegamento audiovisivo, nonché il potere di disciplina dell’udienza (art. 476). In ordine alla qualifica della persona incaricata di stare nella postazione remota, si deve trattare, per regola, di un ausiliario abilitato ad assiste-re il giudice in udienza e designato dal giudice stesso, o, in caso di urgenza, dal presidente.

Solo durante il tempo in cui non si procede all’esame dell’imputato può essere designato un ufficiale di polizia giudiziaria, scelto tra coloro che «non svolgono, né hanno svolto attività di investigazione o di protezione con riferimento all’imputato o ai fatti da lui riferiti». La scelta dipende anche dalla natura delle funzioni demandate all’ausiliario. Lo stesso è chiamato ancora a dare atto «delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova».

La documentazione delle dichiarazioni, richieste, eccezioni e quant’altro provenga dalle persone presenti nella postazione remota, confluirà necessariamente nel verbale tenuto dall’ausiliario del giudice che siede nell’aula di udienza. La fictio iuris trova la sua ragion d’essere nell’escludere la necessità più volte reclamata come indispensabile nel corso del dibattito parlamentare – che l’imputato debba essere assistito da due difensori, uno nell’aula di udienza l’altro nella postazione remota. Da qui la creazione di una figura non solo inedita, ma anomala di sostituto (art. 102).

Ad ogni buon conto il legislatore si è preoccupato di garantire la libertà del flusso di informazioni tra assistito e difensore, stabilendo che «il difensore, o il suo sostituto presenti nell’aula di udienza e l’imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei». Il profilo di legittimità costituzionale più delicato investe però, quella forma di autodifesa che è integrata dal diritto dell’imputato di partecipare al dibattimento come momento essenziale ai fini della pienezza del contraddittorio.

Nondimeno la relativa questione di legittimità è stata seccamente respinta dalla Corte costituzionale, rimettendo in sostanza al guidi ce la valutazione, caso per caso, delle diverse esigenze. Il legislatore ha esteso anche ai procedimenti che si svolgono in camera di consiglio la disciplina approntata per partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento mercé l’introduzione dell’art. 45-bis disp. att.

E’ sufficiente la sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. affinché operi la partecipazione a distanza. In ordine allo sviluppo procedimentale, il riferimento portato all’imputato appare insufficiente a restringere l’ambito dell’istituto ai procedimenti in camera di consiglio instaurati dopo l’esercizio dell’azione penale. Vale qui l’estensione, potenzialmente anche in malarm partem decretata dall’art. 61 comma 2°, della persona sottoposta alle indagini all’imputato, donde la disponibilità della partecipazione a distanza anche nei procedimenti che si svolgano durante la fase delle indagini preliminari.

Il riferimento al condannato vale poi per il procedimento di esecuzione e per quello di sorveglianza, non, invece, in sede di prevenzione, dove il soggetto che partecipa all’udienza assume la qualifica di «interessato». Il delicato quesito in ordine all’individuazione delle udienze in camera di consiglio per le quali vale il nuovo istituto sorge a causa del tenore dell’art. 45-bis comma 2° disp. att., a mente del quale il provvedimento che dispone il collegamento a distanza è comunicato o notificato «unitamente all’avviso di cui all’art. 127 comma 1° c.p.p.».

Il richiamo all’art. 127 comma 1° assume un significato generico alla stregua di un mero sinonimo di avviso della data di fissazione dell’udienza camerale. Pertanto, la partecipazione a distanza risulta disponibile pure nei procedimenti che si tengono in udienza camerale per i quali sia stabilito un termine di comparizione inferiore a dieci giorni. Rispetto ai procedimenti a partecipazione eventuale per i reati di cui all’art. 51 comma 3-bis non è pensabile che il legislatore abbia voluto introdurre, in sede attuativa, una sorta di parlecipazione necessaria (sia pure mediatica), ma neppure è sostenibile cbe il legislatore abbia voluto rendere disponibile la partecipazione a distanza solo nei casi in cui il soggetto sia detenuto nella stessa circoscrizione del giudice investito del procedimento.

I lavori preparatori testimoniano che si inteso estendere l’istituto a procedimenti come il riesame delle misure coercitive, l’appello delle misure cautelare. La partecipazione a distanza diviene disponibile tutte le volte in cui il giudice ritenga necessaria la presenza dell’imputato o del condannato, anche a seguito di sua richiesta, anziché l’audizione ad opera del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. i comma 3°.

 

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