Atti del giudice

Gli atti del giudice sono:

  • la sentenza, con cui il giudice adempie al dovere di decidere, che si è imposto a seguito dell’esercizio dell’azione penale. Tale sentenza esaurisce una fase o un grado del processo e con essa il giudice si spoglia del caso. Ai sensi dell’art. 111 Cost. e dell’art. 125 co. 3 del codice, la sentenza deve essere motivata, a pena di nullità;
  • l’ordinanza, con cui il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento (es. accoglimento della domanda di ammissione di un mezzo di prova). L’ordinanza, anch’essa motivata a pena di nullità, è può essere revocata dal giudice;
  • il decreto, ossia un ordine dato dal giudice (o dal pubblico ministero) che deve essere motivato soltanto se la legge lo precisa espressamente.

Per distinguere il decreto dall’ordinanza, possiamo dire che, mentre l’ordinanza è emessa dopo che si sia svolto il contraddittorio tra le parti, il decreto è pronunciato in assenza del medesimo.

Dato che il processo penale coinvolge diritti di libertà che sono indisponibili per espresso enunciato costituzionale, la materia non può essere lasciata all’esclusiva iniziativa di parte. L’art. 129 co. 1, quindi, pone la regola per cui il giudice ha l’obbligo di dichiarare di ufficio determinate cause di non punibilità, attraverso le cosiddette formule terminative che comportano la declaratoria immediata (es. il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato, il fatto non è previsto dalla legge come reato, il reato è estinto, il reato manca di una condizione di procedibilità). La pronuncia del giudice deve intervenire immediatamente in ogni stato e grado del processo, ossia in momenti successivi all’esercizio dell’azione penale. Tale obbligo, chiaramente, deve intendersi limitato da norme speciali che regolano la fase o il grado: nella fase delle indagini preliminari, infatti, il giudice non può attivarsi di ufficio per il semplice motivo che prima dell’esercizio dell’azione penale, non essendovi processo, non si può applicare l’art. 129.

L’art. 129 co. 2 pone una sorta di gerarchia tra le formule che il giudice è tenuto ad emettere: quando esiste una causa di estinzione del reato (es. prescrizione) e risulta evidente la non responsabilità penale dell’imputato, infatti, il giudice deve dare la preferenza a questo tipo di pronuncia, che assume la forma della sentenza di assoluzione (se pronunciata in giudizio) o della sentenza di non luogo a procedere (se emessa nell’udienza preliminare). Qualora non sia stata acquisita agli atti la prova evidente circa la mancanza di responsabilità dell’imputato, il giudice è tenuto a pronunciare l’estinzione del reato.

L’art. 130 prevede la procedura di correzione degli errori materiali:

  • sono oggetto di correzione soltanto gli atti del giudice riferibili al modello delle sentenze, delle ordinanze e del decreto;
  • l’errore non deve essere causa di nullità dell’atto;
  • l’errore deve essere materiale, dovendo consistere in una difformità tra il pensiero del giudice e la formulazione esteriore di tale pensiero;
  • l’eliminazione dell’errore non deve comportare una modifica essenziale dell’atto.

Tale procedimento di correzione si svolge in camera di consiglio secondo le forme dell’art. 127. L’iniziativa spetta al giudice autore dell’atto, che provvede anche su richiesta del pubblico ministero o della parte interessata. L’ordinanza recante la correzione deve essere annotata sull’originale dell’atto.

Al giudice spettano poteri coercitivi nell’esercizio delle sue funzioni, ossia al fine del sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede (art. 131). Il potere coercitivo comporta la possibilità di ottenere comportamenti anche contro la volontà dei singoli interessati. Spetta al giudice il potere di chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, anche della forza pubblica.

Tra gli atti che costituiscono espressione del potere coercitivo si può collocare l’accompagnamento coattivo (artt. 132 e 133). Tale istituto, pur consistendo in una restrizione della libertà personale ammessa nei casi previsti dalla legge, ha una finalità limitata, quella di condurre una persona davanti al giudice per rendere possibile l’acquisizione di un contributo probatorio. Tra i destinatari del provvedimento di accompagnamento coattivo vi sono l’imputato (art. 132), il testimone, il perito, il consulente tecnico, l’interprete e il custode di cose sequestrate (art. 133). Dato che l’accompagnamento non deve diventare una misura cautelare camuffata, l’art. 132 co. 2 afferma che la persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere tenuta a disposizione oltre il compimento dell’atto previsto e quelli consequenziali per i quali perduri la necessità della sua presenza>. In ogni caso la persona non può essere trattenuta oltre le ventiquattro ore. L’art. 133 detta un’apposita norma per le persone diverse dall’imputato che, regolarmente citate, omettono di comparire senza addurre un legittimo impedimento: il giudice, infatti, oltre a disporre l’accompagnamento, può condannarle al pagamento di una somma di denaro e alle spese processuali alle quali la mancata comparizione ha dato causa.

Atti delle parti

Il libro II del codice di procedura penale si limita a enunciare due soli modelli di atti delle parti, tralasciandone molti altri (es. conclusioni, consenso, accettazione, rinuncia, revoca, impugnazione):

  • la richiesta, che consiste nella domanda che le parti rivolgono al giudice al fine di ottenere una decisione. Sulle richieste formulate dalle parti il giudice deve provvedere senza ritardo e comunque entro quindici giorni. Se non adempie a tale obbligo la parte può presentargli formale istanza ai sensi della l. n. 117 del 1988 sulla responsabilità dei magistrati;
  • la memoria, che ha un contenuto meramente argomentativo teso ad illustrare questioni di fatto o di diritto.
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