Quando vigeva il codice Rocco (di procedura penale del’33) valeva il principio della prevalenza della giurisdizione penale. La disciplina prevedeva espressamente delle norme che garantiva questa prevalenza:
– L’art. 3 prevedeva che, qualora davanti al giudice civile fossero dedotti dei fatti che potevano costituire reato, questi doveva inviare gli atti al pubblico ministero. Egli doveva quindi decidere se esercitare o meno l’azione penale, in quest’ultimo caso il processo civile restava sospeso fino alla definizione del processo penale;
– L’art. 28 prevedeva che il giudicato penale vincolava il giudice civile in ordine ai fatti costituenti reato che erano stati conosciuti e accertati dal giudice penale, quando davanti al giudice civile era dedotta una situazione la cui esistenza dipendeva dai quei fatti;
– L’art. 295 c.p.c. affermava che il giudice sospende il processo civile “oltre che nel caso dell’art. 3 c.p.p.”.
La ragione della prevalenza della giurisdizione penale era duplice:
– Una di carattere politico: la giurisdizione penale è la massima espressione della sovranità dello Stato (es. in Svizzera ogni cantone ha un suo processo civile, ma il processo penale è unico);
– Una di carattere tecnico – giuridico: nel processo civile esistono le prove legali che vincolano il giudice (nel senso che sono sottratte alla regola generale) perché, vista la natura dei beni in gioco, ci si accontenta di una valutazione probabilistica. Al fondamento delle prove legali vi sono delle massime di esperienza recepite espressamente dal legislatore (es. la confessione è una dichiarazione sfavorevole a sé e favorevole all’altra parte. È difficile che una parte faccia una dichiarazione sfavorevole a sé e favorevole all’altra parte se tale dichiarazione non è vera.

Ecco che quindi il legislatore ha ritenuto che quando una persona confessi, tale confessione sia vincolante per il giudice). Nel processo penale vale la regola della prova oltre ogni ragionevole dubbio, si cerca una prova incontrovertibile. Ecco perché si lascia il giudice libero di valutare tutte le prove senza vincoli (il giudice penale se si convince che la parte che ha confessato ha detto il falso, non è costretto a condannarla).

La ragione della prevalenza del processo penale aveva quindi la sua giustificazione nel miglior accertamento dei fatti nell’ambito di tale processo. In realtà non era sempre così (es. in un incidente automobilistico quasi sempre sussiste il reato di lesioni colpose. Una volta non si poteva agire semplicemente davanti al giudice civile chiedendo il risarcimento del danno, bisognava necessariamente proporre la querela. Iniziava quindi il processo penale. Il giudice penale però non attendeva che si manifestassero tutte le conseguenze dannose del reato per valutarle, a lui interessava stabilire solo se esiste o meno il reato. La conseguenza era che chiudeva il processo penale e condannava la persona. Poi si svolgeva il processo civile, qui il danneggiato tentava di dimostrare l’esistenza di ulteriori danno che si erano manifestati dopo il processo penale. Questo però non poteva avvenire perché il giudice civile era vincolato dai fatti accertati nel processo penale).

Con l’entrata in vigore del codice di procedura penale dell’88 è stato abrogato l’art. 3. Poi una legge del ’90 ha abrogato l’inciso dell’art. 295 c.p.c. “oltre che nel caso previsto dall’art. 3” (è stata un abrogazione importante poiché il rinvio all’art. 3 poteva essere inteso come un rinvio materiale). Si è quindi affermato il principio dell’autonomia delle giurisdizioni che vuole che ogni processo si svolga autonomamente e che proceda verso la sua definizione. Il rischio è che i giudicati siano tra loro contrastanti (es. nel processo penale si nega la sussistenza del reato e nel processo civile si afferma l’esistenza del diritto sostanziale, es. O.J. Simpson).

Anche adesso sussistono dei casi di sospensione necessaria per pregiudizialità penale, ma sono solo quelli espressamente previsti dalla legge ex art. 75.3 c.p.p.: quando l’azione civile viene esercitata davanti al giudice civile dopo che la parte si era costituita parte civile nel processo penale, o dopo che nel processo penale era stata pronunciata la sentenza. Con questa regola si vuole evitare un comportamento opportunista della parte, che magari prima esercita l’azione civile nel processo penale e poi, una volta visto che le cose non vanno bene, cambia giudice.

Un orientamento minoritario della dottrina, seguito da un importante orientamento della giurisprudenza, afferma invece che la sospensione necessaria per pregiudizialità penale tuttora permane al di là dei casi espressamente stabiliti.
Punto di partenza è l’art. 651 c.p.p. che disciplina l’efficacia del giudicato penale nel processo civile e amministrativo: questo riproduce la vecchia regola dell’art. 28 del codice Rocco di procedura penale: quindi prevede che se interviene il giudicato penale mentre è in corso il processo civile, e se si verifica quella situazione per cui i fatti accertati nel processo penale sono rilevanti per il processo civile perché da loro dipende l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere davanti al giudice civile, allora il giudicato penale vincola il giudice civile.

Questa opinione afferma che questo è un caso in cui la decisione del giudice civile dipende dalla decisione del giudice penale, ma se questa è la regola posta dall’art. 651 c.p.p., allora dobbiamo ritenere che sempre quando dall’accertamento dei fatti dedotti nel giudizio penale dipenda l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere in sede civile, si verifichi la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.
Non è un opinione da accogliere perché l’intento del legislatore è palese: ha abrogato l’art. 3 e l’inciso dell’art. 295.

Ulteriore orientamento, seguito da una parte minoritaria della dottrina, non accoglie l’orientamento favorevole ad ammettere la sospensione per pregiudizialità penale anche al di là dei casi espressamente previsti facendo leva sull’art. 651 c.p.c., tuttavia ritiene che in certe ipotesi il diritto sostanziale presupponga la condanna penale vera e propria. In questi casi il processo civile deve essere sospeso in attesa dell’intervenuta condanna con sentenza definitiva (es. indegnità a succedere ex art. 463 cc. per omicidio del de cuius).

 

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