L’art. 295 c.p.c. afferma che il giudice deve sospendere il processo “in ogni caso in cui egli o altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Fa riferimento alle ipotesi in cui vi siano più processi pendenti contemporaneamente, e la decisione dell’uno dipenda dalla decisione dell’altro.
La sospensione necessaria dura fino al passaggio in giudicato della causa pregiudiziale.
Questo istituto è stato interpretato in molti modi:
– L’opinione tradizionale riteneva che la sospensione necessaria dovesse trovare applicazione ogniqualvolta erano pendenti due processi aventi ad oggetto situazioni sostanziali che tra loro fossero in rapporto di pregiudizialità di pendenza (es. processo sullo status di figlio legittimo, processo relativo agli alimenti), a prescindere dal momento in cui le cause fossero state instaurate.
La ratio di tale interpretazione era quella di evitare conflitti logici fra giudicati. Vi era la concezione del diritto processuale come strumento di coordinazione delle situazioni sostanziali (si voleva che attraverso il processo le situazioni sostanziali uscissero disciplinato in modo tra loro coordinato e non in maniera contraddittoria).
Un orientamento giurisprudenziale ammette la sospensione necessaria anche quando nel processo dipendente si verificano i presupposti per l’accertamento incidentale ex lege.
– Altra opinione riteneva che la sospensione necessaria fosse tale solo nei casi espressamente previsti dalla legge. L’art. 295 c.p.c. era una mera norma in bianco che recepiva tutte le ipotesi previste dalla legge.
Quest’opinione restrittiva sta trovando sempre maggiori adesioni a causa dell’eccessiva durata dei processi: se un processo dura 6 mesi o 1 anno è più facile pensare che possa essere sospeso in attesa di un nuovo processo, adesso che un processo può durare anche 10 anni è molto più difficile arrivare ad una sospensione necessaria.
– Altra interpretazione ha fatto leva sul potere del giudice di risolvere le questioni pregiudiziali ex art. 34 c.p.c. (quindi con efficacia incidenter tantum). Secondo questa opinione, quando sono contemporaneamente pendenti due processi aventi ad oggetto situazioni sostanziali in rapporto di pregiudizialità di pendenza, non è vero che il giudice del processo relativo alla situazione dipendete debba sospendere il processo solo perché pende un altro autonomo processo sulla situazione pregiudiziale. Il giudice può risolvere la questione per lui pregiudiziale (che è oggetto dell’altro processo) con efficacia incidenter tantum. La sospensione invece è necessaria quando viene proposta, nel processo relativo alla situazione dipendente, domanda di accertamento incidentale: allora da un lato il giudice del processo dipendente viene privato del potere di decidere con efficacia incidenter tantum, dall’altro esso non può nemmeno pronunciare sulla domanda di accertamento incidentale perché pende già un autonomo processo su quella situazione sostanziale (l’ostacolo è quello della litispendenza).
La critica mossa a questa opinione, da coloro che sostengono che la sospensione è necessaria solo nei casi previsti dalla legge, è che se viene proposta una domanda di accertamento incidentale quando già pende su quella situazione pregiudiziale un autonomo processo, la domanda di accertamento incidentale è semplicemente inammissibile e quindi il giudice del processo dipendente non viene provato del potere di decidere la questione pregiudiziale con efficacia incidenter tantum;
– Un orientamento giurisprudenziale ammette la sospensione necessaria anche quando vi è un rapporto di incompatibilità tra le situazioni sostanziali. La critica che si può muovere a questa opinione è che non si capisce quale dei due giudici dei due processi debba sospendere il processo;
– Vi è un opinione che fonda tale istituto sul principio di economia processuale: si vuole evitare una doppia istruzione inutile sulla medesima questione. La sospensione necessaria pertanto troverà applicazione solo quando il processo relativo alla causa dipendente inizia dopo il processo relativo alla causa pregiudiziale (allora l’istruzione dovrà avvenire sulla causa pregiudiziale), se invece l’istruzione della causa dipendente inizia prima della causa pregiudiziale non potrà essere sospeso il processo relativo alla causa dipendente (perché l’istruzione dovrà avvenire in entrambi i processi).
La vera ragione di quest’opinione sta nell’evitare gli abusi che si sono verificati a causa della sospensione necessaria del processo (succedeva che iniziava un processo su una determinata situazione sostanziale, le cose si mettevano male e allora veniva instaurato un autonomo processo su una situazione sostanziale pregiudiziale affinché il processo dipendente venisse sospeso. Si faceva questo allo scopo di ottenere, tramite una transazione, un risultato migliore di quello che si poteva ottenere per via giudiziale). Con questa interpretazione si poteva evitare la sospensione della causa dipendente quando dopo la sua instaurazione fosse stato instaurato un processo su una causa pregiudiziale.
Sulla forma del provvedimento vi erano due opinioni:
– La prima riteneva che la forma doveva essere sempre quella dell’ordinanza: il ragionamento alla base di quest’opinione stava nel ritenere che l’art. 279.4 c.p.c. disciplinasse i casi in cui il giudice pronunciasse con sentenza (sentenza non definitiva in quanto il processo poteva continuare). Le sentenze non definitive cui si fa riferimento in tale articolo hanno tutte per oggetto questioni che possono comportare la definizione della causa (al n. 1) si fa riferimento alle questioni di giurisdizione e di competenza, al n. 2) si fa riferimento alle questioni pregiudiziali di rito). Si diceva che quando si pronunciava sulla sospensione necessaria non si aveva mai una potenziale chiusura della causa, quindi il provvedimento non può essere una sentenza (questo perché, affinché si pronunci sentenza, l’oggetto deve essere sempre una questione di rito che può comportare la definizione della causa);
– La critica che veniva rivolta stava nel fatto che l’art. 294.4 c.p.c. non è l’unico articolo che viene in rilievo. L’art. 42 c.p.c., prima della L. 69/’09, affermava che il regolamento di competenza era ammesso contro le sentenze che pronunciavano solo sulla competenza, e anche contro i provvedimenti di sospensione necessaria. Quindi si assimilavano i provvedimenti che dichiaravano la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. alle sentenze.
Il legislatore, con la L. 69/’09, ha risolto il problema poiché ora su queste questioni si pronuncia con ordinanza.
Organo che deve pronunciare la sospensione:
– Coloro che assimilavano i provvedimenti di sospensione necessaria alle sentenze sostenevano che dovesse essere il collegio;
– L’altra opinione, secondo cui la sospensione necessaria deve essere dichiarata con ordinanza, afferma che può essere pronunciata dal giudice istruttore o dal collegio, a seconda che la causa si trovi, nel momento di sospensione necessaria, davanti al giudice istruttore o al collegio.
Il rimedio contro il provvedimento che dichiara la sospensione necessaria è il regolamento di competenza. Questo rimedio è previsto solo contro le ordinanze che pronunciano la sospensione necessaria, non contro quelle che la negano.
Fra le ordinanze non modificabili e revocabili dal giudice che le ha pronunciate vi è l’ordinanza nei confronti delle quali la legge prevede uno speciale mezzo di reclamo (art. 177.3 c.p.c.). Si è sostenuto che anche le ordinanze del giudice che ha disposto la sospensione necessaria non siano né revocabili né modificabili. Si è detto che lo speciale mezzo di reclamo è un’impugnazione per portare la questione dal giudice istruttore al collegio, ma se questa è la logica, a maggior ragione deve valere la conseguenza della immodificabilità e irrevocabilità dell’ordinanza che dichiara la sospensione del processo quando contro quell’ordinanza è previsto un vero e proprio mezzo d’impugnazione come il regolamento di competenza.
Le ordinanze che negano la sospensione necessaria sono soggette alla disciplina generale dell’art. 177.2 c.p.c., il quale afferma che possono essere revocate o modificate. Se queste ordinanze sono pronunciate dal giudice istruttore, tutte le questioni risolte dal giudice istruttore con ordinanze modificabili e revocabili possono essere riproposte al collegio ex art. 178.1 c.p.c. senza bisogno di mezzi d’impugnazione. Se si vuole far valere il vizio della sentenza che non ha sospeso il processo, si può impugnarla e far valere questo vizio in sede d’impugnazione.
Il rimedio del regolamento di competenza è stato esteso a tutti i provvedimenti di sospensione (è un indirizzo della Cassazione), come rimedio contro le illegittime sospensioni. L’art. 42 c.p.c. prevede il regolamento di competenza solo contro i provvedimenti che dichiarano la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Per garantire l’uguaglianza di trattamento delle parti nel processo si è esteso questo regolamento a tutte le ipotesi di sospensione (anche a quella di sospensione per opportunità).
Questo rimedio del regolamento di competenza è previsto solo contro i provvedimenti che dichiarano la sospensione necessaria, non contro quelli che non la dichiarano. Ci si è chiesti se questo sia legittimo o meno. Situazione simile era prevista nel caso di reclamo contro i provvedimenti cautelari: l’art. 669 terdecies c.p.c. prevedeva che fosse proponibile il reclamo solo contro quei provvedimenti che accoglievano la domanda cautelare, non contro i provvedimenti di diniego del provvedimento cautelare. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di questo articolo nella parte in cui non prevedeva che il reclamo si potesse proporre contro i provvedimenti di diniego. Nel caso del regolamento di competenza la Corte però ha deciso in modo differente, ritenendo legittimo tale regime differenziato in quanto ha ritenuto che sia meritevole di in un trattamento differenziato l’interesse della parte alla prosecuzione del processo (è un implicito riconoscimento al fatto che la sospensione necessaria ha dei costi molto elevati).
Presupposti perché si abbia la sospensione necessaria:
– Fra processo dipendente e processo pregiudiziale le parti devono essere le stesse: la ragione è che si vuole evitare dei conflitti logici fra giudicati (si vuole consentire che la sentenza che viene pronunciata sulla causa pregiudiziale possa produrre i suoi effetti nella causa dipendete, ma se le parti non sono le stesse non può operare la cosa giudicata materiale);
– Il processo pregiudiziale non si deve trovare in stato di quiescenza (si vuole che la causa pregiudiziale sia in grado a pervenire di una sentenza nel merito).
Per evitare la sospensione necessaria si può riunire delle cause: ogniqualvolta attraverso la riunione è possibile evitare la sospensione necessaria, si deve procedere con la riunione (simultaneus processus). La riunione non può essere disposta quando lo stato della causa preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione della causa connessa.
Per assicurare la riunione delle cause si è fatto ricorso all’art. 39.2 c.p.c. che prevede l’istituto della continenza (vedi p. 48).
Entra in gioco anche la diversità di grado in cui si trovano le cause, non è sufficiente che due cause siano connesse ex art. 40 c.p.c. o siano in rapporto di continenza (se una si trova in appello e l’altra in primo grado, non sarà possibile disporre la riunione). Viceversa la diversità di rito non è più un ostacolo per la riunione delle cause.