Si distingue fra:
– Nullità formali: sono quelle previste espressamente dal codice;
– Nullità extraformali: dipendono dalla mancanza di prerequisiti dell’atto (es. mancanza di un atto che è necessario presupposto per il compimento di un atto successivo, es. l’estromissione presuppone che vi sia stata l’istanza).

La causa maggiore di nullità extraformali è dovuta dalla mancanza delle condizioni di trattabilità e decidibilità della causa nel merito (gli atti sono nulli in quanto manca un prerequisito).
Bisogna stabilire se a queste nullità extraformali si applica la disciplina codicistica per le nullità, è preferibile la risposta positiva.

Il primo comma dell’art. 156 c.p.c. afferma che la nullità di un atto può essere pronunciata solo quando essa è espressamente prevista dalla legge. Da questo dovrebbe dedursi la regola per cui non si possono introdurre decadenze per via interpretativa. Le norme che introducono decadenze sono norme restrittive sui diritti e quindi dovrebbero essere interpretate restrittivamente. La giurisprudenza invece non estende questa norma alle decadenze, con la conseguenza che si sono introdotte decadenze per via interpretativa (un soggetto può quindi incorrere in decadenze anche senza aver violato una norma).

Esempio: È previsto che con l’atto di citazione l’attore debba indicare i mezzi di prova di cui intende valersi, e così anche il convenuto. Prima del 2006 poi era prevista, all’udienza istruttoria ex art. 184 c.p.c., la possibilità di ottenere delle memorie istruttorie con cui chiedere l’ammissione di ulteriori mezzi di prova. Alcuni magistrati ritenevano che con le memorie ex art. 184 c.p.c. si potevano chiedere ulteriori mezzi di prova a quelli chiesti con gli atti introduttivi, se la parte non aveva chiesto mezzi di prova con gli atti introduttivi erano inammissibili i mezzi di prova chiesti con le memorie istruttorie (vedi p. 137).

Il secondo comma dell’art. 156 c.p.c. afferma che la nullità può essere pronunciata se l’atto manca dei requisiti formali indispensabili al raggiungimento dello scopo. È una diretta esplicazione del principio di strumentalità delle forme rispetto allo scopo dell’atto.
Si presta a delle difficoltà di coordinamento con il terzo comma che prevede che la nullità non possa mai essere pronunciata quando l’atto abbia raggiunto lo scopo cui era destinato: l’applicazione del secondo comma implica una valutazione ex ante, mentre l’applicazione del terzo comma presuppone una valutazione ex post. La valutazione del secondo è compiuta in astratto, la valutazione del terzo comma è compiuta in concreto.

Il terzo comma dell’art. 156 c.p.c. ha il significato di dire che, quand’anche in astratto l’atto manchi dei requisiti formali per il raggiungimento dello scopo, se in concreto è stato raggiunto lo scopo non può essere pronunciata la nullità.

Il primo comma dell’art. 157 c.p.c. distingue fra:
– Nullità assolute: sono quelle rilevabili d’ufficio;
– Nullità relative: sono oggetto di eccezioni in senso stretto (deve esserci un’istanza di parte).

Il secondo e terzo comma dell’art. 157 c.p.c. prevedono dei limiti alla rilevabilità della nullità ed un meccanismo sanante:
– Se la legge prevede che l’atto implichi un requisito di forma, bisogna guardare a quale parte giova quel requisito di forma (nell’interesse di quale parte sia posto quel requisito). Se il requisito è posto nell’interesse di una parte, allora solo quella parte può eccepire la nullità;
– La parte deve eccepire la nullità nella prima istanza o difesa successiva, altrimenti la nullità si sana;
– La nullità non può essere eccepita dalla parte che vi ha dato causa, né dalla parte che vi ha rinunziato, anche tacitamente (es. mancata eccezione nella prima istanza o difesa successiva).

L’art. 159 c.p.c. stabilisce l’ambito entro il quale si ripercuote la nullità di un atto sugli altri atti:
– Il primo comma stabilisce che la nullità di un atto non implica la nullità degli atti precedenti, né la nullità degli atti successivi che ne sono indipendenti (è attraverso la ripercussione sugli atti dipendenti che si può arrivare alla nullità della sentenza, vedi p. 224);
– Il secondo comma stabilisce che la nullità di una parte dell’atto non importa la nullità delle altre parti dell’atto stesso;
– Il terzo comma prevede che se vi è un vizio che impedisce un effetto, l’atto comunque può produrre gli altri effetti rispetto ai quali è idoneo.

L’art. 161.1 c.p.c. pone la regola della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame (vedi p. 37 e 57): le nullità devono essere fatte valere con i mezzi d’impugnazione e secondo le regole proprie di questi, altrimenti si sanano con il passaggio in giudicato.
Tutte le cosiddett nullità processuali dovrebbero essere configurate come annullabilità processuali, o come nullità sanabili.

La dottrina ha reintrodotto per via interpretativa la querela nullitatis attraverso la configurazione dei vizi di inesistenza della sentenza come vizi così gravi che non possono ritenersi sanati per il passaggio in giudicato della sentenza. La domanda volta a far valere la nullità in questi casi quindi può essere riproposta anche in seguito al passaggio in giudicato.

La regola nel caso di nullità della sentenza è che il giudice debba disporre, per quanto possibile, la rinnovazione degli atti nulli, compresi quelli dipendenti (art. 162 c.p.c.).
Il regime di inesistenza della sentenza (vedi p.90) è ricavato dalla disciplina del secondo comma dell’art. 161 c.p.c. (prevede il vizio della mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice).

 

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