Riguardo al processo di cognizione, l’iniziativa per la pronuncia della nullità è di solito riservata alla parte interessata (cosiddette “nullità relative”). Quindi se eventualmente la parte interessata non rileva il vizio, ed è quindi acquiescente, è fuor di dubbio che il difetto di requisito non ha pregiudicato lo scopo dell’atto. Questo è il principio generale (fra l’altro è una specificazione ulteriore del principio della strumentalità delle forme). Tutto ciò, salvo i casi in cui la legge prevede la rilevabilità d’ufficio (cosiddette ”nullità assolute”). Tutto ciò si evince dal 157 1° C.P.C.. Il 2° 157 dispone che “solo la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per mancanza del requisito stesso, e deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso”. Il dispone poi, per evidenti ragioni logiche e di equità, che “la nullità non può esser opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente”. Tutto ciò vale per le nullità relative, in quanto per le nullità assolute non vale in linea di principio alcuna limitazione: saranno quindi rilevabili in ogni stato/grado del giudizio, tranne in casi eccezionali stabiliti da legge. Un corollario che allora giunge dal 157 è il seguente: nelle nullità relative (e in qualche caso in quelle assolute, ma deve esser stabilito da legge) se il rilievo della nullità non avviene nei suddetti limiti e modi, si verifica la sanatoria del vizio con efficacia ex tunc; invece quelle assolute sono di solito insanabili. Abbiamo poi il 158 C.P.C., che dichiara espressamente insanabile la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del PM, salva la disposizione dell’art 61 C.P.C. (es. 158: è nullità insanabile quando il giudice non presenzia alla discussione della causa, ma partecipa alla deliberazione della sentenza) e il 61 che parla della disciplina della nullità delle sentenze (paragrafo successivo).

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