1. Motivi attinenti alla giurisdizione:
Secondo una prima interpretazione si richiama l’art. 37 c.p.c. sul difetto di giurisdizione (vedi p. 36), ma qui ha un ambito di applicazione più ampio, almeno secondo l’interpretazione che vi fa rientrare anche i casi di eccesso di potere giurisdizionale. Vi sono varie opinioni su quali siano i casi di eccesso di potere giurisdizionale:
– Questi sono tutti i casi in cui vi è stato in concreto un esercizio distorto del potere giurisdizionale:
Ipotesi di violazione dell’art. 112 c.p.c. che pone il principio del corrisposto fra il chiesto e il pronunciato: il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. La violazione di questa regola da luogo a tre ipotesi:
Ipotesi della ultrapetizione: il giudice è andato oltre il petitum mediato (es. ho chiesto la condanna al pagamento di 10.000 € ed il giudice pronuncia la condanna al pagamento di 20.000 €);
Ipotesi dell’extrapetizione (es. chiedo la risoluzione del contratto per inadempimento, il giudice oltre ad accogliere la domanda condanna anche al risarcimento dei danni);
Omissione di pronuncia (es. l’attore chiede la risoluzione del contratto per inadempimento ed il risarcimento del danno, il giudice pronuncia solo sulla risoluzione).
In base ad un orientamento della giurisprudenza si possono chiedere separatamente in processi anche le diverse voci di danno (es. chiedo il risarcimento del danno patrimoniale e mi riservo di chiedere il danno non patrimoniale in altro processo). In base a quell’orientamento che ritiene che sia possibile frazionare il petitum mediato in questi casi, si dovrebbero configurare tante domande quanti sono i frazionamenti ammessi (dopo la sentenza del novembre del 2008 la Cassazione ha distinto solo fra danno patrimoniale e danno non patrimoniale).
Ipotesi di violazione del giudicato (vedi p. 68).
– Secondo altro orientamento, le ipotesi di eccesso giurisdizionale sono tutte ipotesi di nullità della sentenza, quindi il motivo di ricorso è quello di cui al n. 4) dell’art. 395 c.p.c. Questa è l’opinione accolta dalla giurisprudenza;
– Ulteriore opinione ritiene che la violazione del giudicato, per violazione dell’effetto positivo della cosa giudicata, dovrebbe dar luogo al ricorso per Cassazione per il motivo di cui al n. 3). Parte dalla premessa per cui la giurisdizione viene esercitata reiterando per il caso concreto la norma generale ed astratta, quindi l’accertamento è una sorta di lex specialis e la fattispecie concreta è disciplinata dal giudicato. Il processo è configurato come fonte di produzione normativa. Allora quando viene violata questa lex specialis, che dovrebbe vincolare il giudice successivo che pronuncia su una situazione sostanziale dipendente, si ha violazione o falsa applicazione della norma di diritto sostanziale che dovrebbe disciplinare il merito della causa.
La sentenza pronunciata per questi motivi sopravvive all’estinzione del processo ex art. 310.2 c.p.c. (vedi p. 142).
Se la cassazione rileva l’erronea dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice di primo grado, tale per cui il giudice d’appello avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di primo grado ex art. 353 c.p.c., allora rimetterà direttamente la causa a quest’ultimo (art. 383.3 c.p.c.).
Talvolta la Cassazione, che cassa per motivi attinenti alla giurisdizione, cassa senza rinvio (ex art. 382.3 c.p.c.): quando riconosce che, né il giudice che ha pronunciato la sentenza né nessun altro giudice, ha giurisdizione sulla causa (difetto assoluto di giurisdizione). Adesso è possibile anche la translatio iudicii (vedi p. 53).
Secondo l’ultima sentenza della Cassazione a sezioni unite affinché la Corte rilevi il difetto di giurisdizione è necessario che la decisione sulla questione giurisdizionale venga coltivata dalle parti attraverso le impugnazioni (vedi p. 213).
La Cassazione, quando viene proposto il ricorso per il motivo di cui al n. 1), è giudice del fatto processuale (può andare a verificare cosa è accaduto nel processo per decidere se è fondato o infondato il motivo del ricorso). Questo non lo può mai fare quando è adita per error in iudicando.
2. Violazione delle norme della competenza, quando non è prescritto regolamento di competenza: bisogna stabilire se sia ancora possibile parlare di prescrizione di regolamento di competenza. Quando si parlava di prescrizione del regolamento di competenza si faceva riferimento al regolamento necessario di competenza. Adesso il regolamento di competenza si propone solo contro le ordinanze, ci si chiede se sia proponibile contro una pronuncia del giudice d’appello. Si afferma che è ancora possibile una pronuncia della corte d’appello per cui l’unica impugnazione possibile è il regolamento di competenza.
Esempio: Tizio chiede la restituzione di una somma data a mutuo. Caio si difende nel merito ed eccepisce l’incompetenza del giudice. Il giudice con la sentenza definitiva rigetta l’eccezione di incompetenza ed accoglie la domanda. Caio propone appello e si duole dell’errata decisione sulla questione di incompetenza. Il giudice d’appello annulla la sentenza e dichiara l’incompetenza del giudice di primo grado. In quest’ipotesi dovrebbe pronunciare anche un’ordinanza (la pronuncia sull’incompetenza ora avviene con ordinanza), quindi contro questa si deve proporre regolamento di competenza.
In quest’ipotesi la causa verrà rimessa al giudice di primo grado competente (è un ipotesi di rimessione della causa al giudice di primo grado ulteriore a quelle previste dagli art. 353 e 354 c.p.c.)
Pertanto deve riconoscersi la possibilità che sia prescritto regolamento di competenza, quindi in queste ipotesi deve ritenersi inammissibile ricorso per Cassazione per il motivo di cui al n.2).
Quando la Cassazione pronuncia sulla competenza, questa sentenza sopravvive ex art. 310.2 c.p.c. (vedi p. 142).
In questa ipotesi la Cassazione è giudice del fatto processuale.
Questa questione deve sempre essere coltivata.
3. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto o dei CCNL: concerne l’errata decisione delle questioni di diritto quando il giudice ha deciso la causa nel merito.
Esempio: Tizio fa valere il diritto alla restituzione di una somma data a mutuo. Caio eccepisce la prescrizione. Il giudice di primo grado accerta che il diritto non è stato esercitato per 7 anni, ma ritiene che si debba applicare la prescrizione breve (ha violato la norma che prescrive che per quest’ipotesi la prescrizione è decennale). Il creditore propone appello ed il contenuto dell’appello è identico. L’appellate deve proporre ricorso per Cassazione per error in iudicadno dolendosi dell’errata decisione della questione di diritto relativa al numero degli anni stabiliti dalla legge affinché si prescriva quel diritto.
La norma fino al 2006 non aveva ad oggetto anche i CCNL, è una modifica che può sorprendere perché questi non sono norme di diritto oggettivo ma hanno natura negoziale. La regola è che non è ammesso ricorrere per Cassazione quando il giudice nell’interpretare norme contrattuali erra nell’interpretazione, in questi casi si propone ricorso per Cassazione sotto il profilo della violazione delle norme sostanziali che disciplinano l’interpretazione del contratto.
Un simile motivo di ricorso per Cassazione era stato introdotto con il d.lgs. N. 29/’03 in materia di pubblico impiego: gli accordi collettivi in materia di pubblico impiego quando venivano interpretati dal giudice, e la parte soccombente riteneva che vi fosse stata un’errata interpretazione, allora era ammesso ricorso per Cassazione. Il vantaggio era che si ottenevano dalla Cassazione delle direttive sull’interpretazione di questi contratti, di modo che i giudici che poi dovevano decidere sui singoli contratti ne tenessero conto. Siccome il legislatore lo ha ritenuto vantaggioso lo ha esteso a tutti i CCNL.
Può dar luogo a ricorso per Cassazione qualsiasi violazione di norma di diritto, sia di rango legislativo che regolamentare, interna e comunitaria, e anche di carattere consuetudinario.
Si può proporre ricorso per Cassazione lamentandosi del fatto che il giudice ha applicato la normativa nazionale ancorché quella comunitaria. Se ci si lamenta dell’errata interpretazione della normativa comunitaria, la Cassazione deve rimettere la questione alla Corte di giustizia CE ed il processo resta sospeso (sospensione impropria).
4. Nullità della sentenza o del procedimento: sono tutte ipotesi di nullità della sentenza perché le nullità del procedimento possono essere fatte valere come motivo di ricorso ai sensi del n. 4) solo se si ripercuotono sulla sentenza. L’art. 159.1 c.p.c. prevede che la nullità di un atto determina la nullità di un atto successivo solo se questi ne sia dipendete, allora la nullità di un singolo atto del processo può determinare la nullità della sentenza (es. viene proposta una domanda riconvenzionale tardivamente. Se il giudice si pronuncia nel merito di essa, quella parte della sentenza è nulla, perché la decadenza in cui è incorsa la parte si ripercuote nel processo su tutti gli atti dipendenti fino a determinare la nullità della sentenza).
5. Omessa, insufficiente o contraddittoria informazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: prima del 2006 la formulazione prevedeva “l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”.
Non si parla più di “punto” ma di “fatto”, questo non cambia assolutamente nulla.
Non è più rilevabile d’ufficio, non ci si può più dolere del mancato rilevo d’ufficio del fatto posto a fondamento di un’eccezione in senso lato.
Il fatto deve essere controverso, deve esserci stato un contrasto fra le parti, ed anche decisivo. Qui riemergono quelle questioni che si erano affrontate per stabilire quando un mezzo di prova sia indispensabile per la decisione della causa (vedi p. 215). Vi sono più opinioni su quando un fatto sia decisivo:
– Secondo alcuni quando riguarda un fatto principale;
– Secondo altri quando quel fatto possa comportare un ribaltamento della decisione. Ci si chiede se questo ribaltamento lo debba comportare il fatto da solo, oppure anche in concorso con altri fatti (in questa prospettiva sarebbero decisivi anche dei fatti secondari, quindi anche la motivazione in ordine ad un fatto secondario potrebbe essere viziata e giustificare il ricorso per il motivo di cui al n. 5).
Il filtro in Cassazione ex art. 360 bis. (introdotto con la L. 69/’09) prevede l’inammissibilità del ricorso in due ipotesi:
1. Quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, e l’esame dei motivi non offre argomenti per mutare o modificare l’orientamento della stessa;
2. Quando l’asserita violazione dei principi regolatori del giusto processo è manifestamente infondata.
Sono due ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso, tuttavia il legislatore parla di inammissibilità: questa attiene alla validità dell’esercizio del potere d’impugnare, viceversa l’infondatezza attiene al merito dei motivi del ricorso.
Già prima della riforma del 2009 esisteva l’accoglimento o il rigetto per manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso (art. 375 n.5) abr. c.p.c.). Si arrivava allo stesso risultato anche conservando la stessa disciplina.
Il problema più grave riguarda il coordinamento con l’art. 360 c.p.c. Ci si chiede se il ricorso per violazione dei principi regolatori del giusto processo incida o meno sull’ambito di applicazione dei motivi:
– Si può ritenere che una volta che siano proporsi i motivi di ricorso dell’art. 360 c.p.c. questi possano essere rigettati in quanto manchi anche la censura dei principi regolatori del giusto processo?
– Si deve ritenere che possano essere rigettati quando la censura c’è ed è manifestamente infondata?
– Si deve ritenere che abbia introdotto un ulteriore motivo di ricorso per Cassazione (quello fondato sulla censura per la violazione dei principi regolatori del giusto processo)
Nessuna di queste interpretazioni viene considerata accettabile.
L’innovazione non ha introdotto modifiche sull’ambito di applicazione del ricorso per Cassazione.
Nel motivo di cui al n. 1) si fa riferimento a questioni di diritto: trova sicuramente applicazione con riferimento al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., ma anche quando ci si duole degli errores in procedendo c’è una violazione di norme di diritto (anche se di natura processuale), quindi secondo taluni si applica anche con riferimento ai motivi del n. 4) art. 360 c.p.c. Secondo altri poi si applica anche per la violazione dei motivi di cui al n. 1) e 2) dell’art. 360 c.p.c.
È difficile stabilire che cosa s’intenda per “orientamento della Cassazione”. Raramente vi sono orientamenti monolitici su una determinata questione. L’orientamento richiede più pronunce o è sufficiente anche una sola? Si deve seguire quello delle sezioni unite o basta quello delle sezioni semplici?
Per individuare i “principi regolatori del giusto processo” è possibile avere riguardo a tre modelli:
– Principi e regole espresse nelle Costituzione;
– Principi e regole espresse nelle CEDU, giurisprudenza della CEDU, giurisprudenza italiana in base alla Legge Pinto;
– Principi e regole derivabili dall’art. 111 Cost.
Quest’espressione non ha un significato tecnico nel nostro processo, ha una matrice anglosassone. Quelli che hanno tentato di darvi un significato hanno affermato che non la si può intendere letteralmente, bisogna pensare che quest’ipotesi giustifichi un sindacato sull’interesse ad impugnare del ricorrente. Ma se si va su questa strada si autorizza il giudice a sindacare ogni atto.
Altri hanno detto che bisogna pensare a tutte le ipotesi di errores in procedendo che non implicano questioni di diritto (es. quando c’è stata una rinuncia agli atti del giudizio nel corso dell’appello la Cassazione potrà andare a vedere se vi è realmente stata l’accettazione e questa è efficace).