Vale la regola generale per cui si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice al quale la causa è rinviata (art. 394.1 c.p.c.).

Il secondo comma dell’art. 394 c.p.c. afferma che “le parti devono conservare la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata”.

Il terzo comma prevede che è “sempre ammesso il giuramento decisorio, ma le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle che avevano preso nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata, salvo che la necessità di nuove conclusioni non sorga per effetto della sentenza della corte di cassazione”.

Da queste disposizioni si deduce che il giudizio di rinvio è un procedimento ad istruzione tendenzialmente chiusa (lo ius novorum è eccezionale):

– Non è ammessa l’allegazione di nuovi fatti;
– Non è ammessa l’allegazione di nuove eccezioni (persino quelle rilevabili d’ufficio: se queste non sono state rilevate d’ufficio dalla Cassazione, significa che questa ha deciso nel senso della loro infondatezza, e pertanto non potrà rilevarle nemmeno il giudice di rinvio. Tra queste questioni vi è anche il potere di sollevare la questione di legittimità costituzionale);
– Non sono ammessi mezzi di prova.
La ragione è quella di salvaguardare il principio di diritto. Questo ha efficacia vincolante, ma perché non perda questa efficacia è necessario che rimanga immutata quella situazione di fatto che è presupposta dal principio di diritto.

In alcuni casi quest’istruzione tendenzialmente chiusa viene meno:
– Quando la necessità di nuove conclusioni sorge dalla sentenza della Cassazione (art. 394 c.p.c.): ci si riferisce all’ipotesi della diversa qualificazione della fattispecie rispetto quella che avevano fatto le parti nel procedimento terminato con la sentenza cassata, operata non dal giudice di rinvio ma dalla Cassazione. Se la diversa qualificazione implica il rilievo di nuovi fatti, allora quei fatti possono essere allegati e possono anche essere chiesti nuovi mezzi di prova.
L’art. 384 c.p.c. prevede che se la Cassazione ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevabile d’ufficio, deve riservare la decisione (non deve decidere) e dare un termine alle parti e al PM (non inferiore a 20 e superiore a 60 giorni) affinché queste depositino le proprie osservazioni (si vuole evitare la cosiddett terza via a sorpresa: non quella sostenuta dall’attore, non quella sostenuta dal convenuto, ma quella sostenuta dal giudice). Fra le questioni rilevabili d’ufficio si ritiene che rientri anche il potere di qualificare diversamente la fattispecie;
– Le questioni dichiarate assorbite dal giudice d’appello possono essere liberamente riproposte davanti al giudice di rinvio (vedi p. 204);
– Quando interviene una legge sostanziale retroattiva che disciplina la fattispecie in modo difforme (può implicare anche una nuova qualificazione della fattispecie);
– Quando interviene una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara l’illegittimità della norma che doveva essere applicata;
– Quando sopravvengono fatti.

 

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