L’uomo consegue la maturità psicologica attraverso un processo evolutivo che si snoda lungo fasi graduali. L’art. 97 c.p. dispone che “non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i 14 anni”. È stata quindi, introdotta una presunzione di incapacità, di natura assoluta perché non è ammessa prova contraria.
L’art. 98 poi dispone che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita”. Con riferimento ai soggetti di età compresa tra i 14 e i 18 quindi, non esiste alcuna presunzione legale di incapacità, ma è il giudice che ha il dovere di accertare di volta in volta se il minori sia imputabile o no.
Secondo un orientamento consolidato, l’incapacità minorile non presuppone necessariamente l’infermità mentale, perché si fonda su di una condizione identificabile con la situazione di immaturità, intesa come comprensiva non solo del carente sviluppo delle capacità conoscitive, volitive e affettive, ma anche dell’incapacità di intendere il significato etico- sociale del comportamento e dell’inadeguato sviluppo della coscienza morale.
La capacità di intendere e di volere è presunta al compimento del 18 anno di età: si tratta però di una presunzione relativa, perché la capacità è esclusa o diminuita in presenza di vizio totale o parziale di mentre o delle altre cause previste.
Infermità di mente
L’art. 88 stabilisce che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere”. Da questa disposizione si desume che non basta accertare una malattia di mente per dedurne automaticamente l’inimputabilità del soggetto, ma occorre anche appurare se e in quale misura la malattia ne comprometta la capacità di intendere e di volere.
L’accertamento però, risulta molto problematico a causa della crisi attraversata dalla scienza psichiatrica, per cui il concetto di malattia mentale non risulta univoco. Inoltre la responsabilità gravante sul giudice e sul perito è oggi ancora più accentuata in quanto, una volta abolita la presunzione legale di pericolosità del malato di mente, l’accertamento dell’incapacità di intendere e di volere del malato, ove accompagnato dal disconoscimento in concreto della sua pericolosità sociale, può avere come effetto la rinuncia a qualunque tipo di trattamento penale (c’è quindi il rischio di mettere in libertà persone incapaci di comportarsi in maniera auto responsabile).