Il procedimento normale di formazione del trattato ricalca ancora oggi quello seguito alcuni secoli fa, all’epoca delle monarchie assolute, ossia quando la stipulazione del trattato era materia di competenza esclusiva del Capo dello Stato:
- negoziazione: il procedimento si apre con i negoziati condotti dai plenipotenziari, i quali di solito sono organi del potere esecutivo. Al riguardo l’art. 7 della Convenzione di Vienna stabilisce che una persona è considerata come rappresentante dello Stato se produce dei pieni poteri appropriati , ossia se i suoi poteri promanano da organi competenti in base al diritto e alla prassi propri di ciascun Paese.
Tale fase della negoziazione è tanto più complessa quanto più numerosi sono gli Stati che vi partecipano e quanto più importante è la materia da regolare. Alcuni trattati multilaterali di particolare rilievo (es. trattati di pace), ad esempio, sono negoziati dai plenipotenziari nell’ambito di conferenze diplomatiche rette da regole procedurali preventivamente concordate e spesso assai dettagliate. Secondo una prassi sempre più seguita, in particolare, la vecchia regola dell’unanimità va cedendo il passo al principio di maggioranza;
- firma: i negoziati si chiudono con la firma (o parafatura) dei plenipotenziari. Nel procedimento normale la firma non comporta ancora alcun vincolo per gli Stati: essa ha soltanto fini di autenticazione del testo;
- ratifica: la manifestazione di volontà con cui lo Stato si impegna si ha invece con la fase della ratifica. La competenza a ratificare è disciplinata da ciascuno Stato con proprie norme costituzionali, ma da un punto di vista comparativo può dirsi che la ratifica rientri tuttora nelle attribuzioni del Capo dello Stato. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, l’art. 87 co. 8 Cost. dispone che il Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. A sua volta l’art. 80 Cost. specifica che tale autorizzazione è necessaria quando si tratti di trattati che hanno natura politica, che prevedono regolamenti giudiziari o che comportano variazioni del territorio nazionale, oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Le due norme vanno poi combinate con la regola dell’art. 89 Cost. secondo cui nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità . Si ritiene peraltro che la ratifica rientri tra quegli atti che il Presidente della Repubblica non può rifiutarsi di sottoscrivere una volta intervenuta la delibera governativa, il che dimostra che in Italia il potere di ratifica spetta sostanzialmente all’esecutivo.
Spesso, in sostituzione del termine di ratifica, vengono impiegati altri concetti, come approvazione o conclusione. Deve peraltro essere equiparato al concetto di ratifica anche quello di adesione, che si ha, nel caso di trattati multilaterali, quando la manifestazione di volontà diretta a concludere l’accordo promana da uno Stato che non ha preso parte ai negoziati (ratifica di un accordo predisposto da altri);
- scambio o deposito di ratifiche: una volta formatasi la volontà dello Stato, il procedimento di formazione dell’accordo si conclude:
- con lo scambio delle ratifiche, caso in cui l’accordo si perfeziona istantaneamente;
- con il deposito delle ratifiche, caso in cui l’accordo si forma tra gli Stati depositanti. Di solito, tuttavia, si prevede che quest’ultimo non entri in vigore fintanto che non si raggiunga un certo numero di ratifiche.