La disciplina del Concordato del 1929 stabiliva che le cause di nullità del matrimonio e la dispensa relativa al matrimonio rato e non consumato erano riservate esclusivamente alla competenza dei tribunali ecclesiastici. I provvedimenti, che venivano resi esecutivi mediante decreto del Tribunale Supremo Della Segnatura Apostolica, erano trasmessi alla Corte D’appello che, mediante ordinanza, li rendeva esecutivi nell’ordinamento dello Stato.

Inizialmente, quindi, la Corte D’appello doveva dare automaticamente esecuzione alle sentenze ecclesiastiche senza operare alcun controllo. Tuttavia, la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale per violazione del principio di sovranità dello Stato e si dichiarò contraria alla possibilità di rendere esecutivi nell’ordinamento civile i provvedimenti pontifici di dispensa, relative al matrimonio rato e non consumato, che andavano ad incidere sullo stato coniugale già acquistato.

Questa posizione deriva dal principio fondamentale che solo il provvedimento del giudice civile può estinguere un rapporto coniugale sorto validamente. La Corte, tuttavia, riconosceva l’esclusiva giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici riguardo alle cause d’invalidità del matrimonio concordatario, come conseguenza della rilevanza civile riconosciuta al matrimonio canonico.

Questa deroga alla giurisdizione dei giudici dello Stato appare giustificata perché conforme al principio di garantire al cittadino, anche nella diversità di disciplina, una tutela giudiziale in materia d’invalidità matrimoniali.

L’accordo dell’84 di revisione del Concordato ha modificato la materia riguardante i giudizi di nullità del matrimonio concordatario.

Prima di tutto, le sentenze dei tribunali ecclesiastici possono produrre effetti in ambito civile se ricorrono le seguenti condizioni:

  • Il giudice ecclesiastico deve essere competente a decidere la controversia nella sua decisione deve essere munita di decreto d’esecutorietà del supremo tribunale della segnatura apostolica
  • deve essere rispettato il diritto delle parti di agire e resistere in giudizio
  • le ragioni d’invalidità non devono contrastare con i principi d’ordine pubblico.

Si ritiene, invece, che non possano essere resi esecutivi i provvedimenti pontifici di dispensa dal matrimonio rato e non consumato.

Il riferimento ai tre presupposti, perché le sentenze ecclesiastiche d’annullamento del matrimonio siano esecutive in Italia è necessario che:

  • Il Tribunale Della Segnatura Apostolica controlli la competenza del giudice ecclesiastico e la regolarità del procedimento. Il decreto di esecutorietà attesta che l’iter giudiziario si è concluso.
  • il diritto di agire e resistere in giudizio è garantito alle parti dall’applicazione delle seguenti regole: è necessaria la regolarità dell’atto introduttivo del giudizio nella tutela dei diritti essenziali della difesa nonché la regolarità della costituzione in giudizio oppure della dichiarazione di contumacia nella tutela dei diritti della difesa nel corso dell’intero giudizio.
  • la giurisprudenza s’interroga se il meccanismo previsto dall’accordo dell’84 per rendere efficaci le sentenze ecclesiastiche di annullamento del matrimonio (delibazione) sia stata modificata dall’entrata in vigore della legge n. 218 / 1995 che riconosce efficacia automatica alle sentenze straniere se ci sono determinati presupposti, senza ricorrere processo di delibazione.

La giurisprudenza si orienta in senso negativo in quanto l’art 2 della stessa legge stabilisce che le disposizioni contenute in essa non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, come deve considerarsi l’accordo dell’84.

Tra le condizioni previste per rendere esecutivi in Italia le decisioni d’annullamento del matrimonio emesse dai tribunali ecclesiastici c’è quella della loro conformità ai principi d’ordine pubblico.

Si ammette la delibabilità della sentenza in caso di sentenze ecclesiastiche di annullamento per incapacità, vizio del consenso, simulazione, pronunciate in presenza di una convivenza protrattasi nel periodo dopo il matrimonio o la cessazione del vizio.

La cassazione, inoltre, ha considerato contrarie all’ordine pubblico o le sentenze di nullità del matrimonio per riserva mentale non conosciuta o conoscibile dall’altro sposo, ma anche eventuali decisioni ecclesiastiche di nullità matrimoniali per ragioni religiose.

Competenza: l’attribuzione al giudice civile di significativi poteri d’intervento in materia d’invalidità matrimoniali comporta un ridimensionamento della competenza esclusiva attribuita al giudice ecclesiastico dal Concordato del 29.

Tuttavia, l’accordo dell’84 ha introdotto una sorta di competenza concorrente a favore dei tribunali civili. In questa prospettiva, il tribunale potrebbe sindacare la validità del matrimonio concordatario sulla base delle norme dello Stato.

L’azione d’annullamento, intrapresa da uno sposo davanti al giudice civile impedirebbe di rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica, in seguito all’azione iniziata successivamente dall’altro sposo. Il giudice ecclesiastico, in questa prospettiva, potrà pronunziarsi sull’invalidità del matrimonio solo su richiesta concorde degli sposi oppure su richiesta di uno sposo, purché il giudizio ecclesiastico sia stato iniziato prima di quello civile,

Giudizio di delibazione: la Corte D’Appello, nel controllare le ragioni della decisione ecclesiastica, non può ritornare sugli accertamenti compiuti dal giudice ecclesiastico, mentre può compiere valutazioni autonome di circostanze non rilevanti per l’ordinamento canonico e per questo non sottoposti ad accertamento.

L’accordo dell’84 ha introdotto un’altra importante novità: la delibazione delle sentenze ecclesiastiche non avviene più d’ufficio, ma solo su richiesta degli sposi, a pena la nullità del procedimento.

In pendenza della sentenza ecclesiastica d’annullamento, una parte può chiedere al tribunale civile l’adozione di provvedimenti urgenti.

Con la sentenza di delibazione, La Corte Di Appello può porre a carico di un coniuge la corresponsione di un assegno favore dell’altro, in attesa della decisione definitiva.

La decisione della corte d’appello è impugnabile in Cassazione.

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