Il cardine sul quale fa leva il tentativo di “cambiamento” della cultura del lavoro pubblico è rappresentato dall’introduzione di un sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti, il quale mira al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione di premi per i risultati conseguiti dai singoli e dalle unità organizzative in cui essi prestano servizio. Il sistema risulta complesso e non di agevole applicazione, cosicché, la legge delega 124 del 2015 prevede debba procedersi alla sua semplificazione.

La disciplina vigente regola dettagliatamente l’intero “ciclo di gestione della performance” che le amministrazioni sono tenute ad osservare. Tale “ciclo” prevede: la definizione e assegnazione degli obiettivi (anche in relazione alla allocazione delle risorse); il monitoraggio dell’attività in corso di esecuzione (anche per attivare gli interventi correttivi eventualmente necessari); la misurazione e valutazione finale dei risultati raggiunti dall’unità organizzativa e dal singolo (prevedendo, a questo riguardo, anche l’istituzione di un “organismo indipendente di valutazione all’interno dell’amministrazione” e un organismo centrale di indirizzo e coordinamento, costituito dalla “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”); l’utilizzo di sistemi premianti in base al merito accertato; la rendicontazione dei risultati stessi non solo a beneficio degli organi di indirizzo politico-amministrativo e dei vertici delle amministrazioni, ma anche a beneficio di tutti i cd. stakeholder (soggetti interessati, utenti e destinatari dei servizi, cittadini).

Il sistema di valutazione dovrebbe, per un verso, favorire un controllo diffuso e più penetrante da parte della collettività, nell’idea che questa possa svolgere un ruolo “surrogatorio” di quello esercitato dal proprietario dell’impresa privata. Ed infatti, a tal fine, è anche previsto un generale dovere da parte delle pubbliche amministrazioni di “massima trasparenza” in ogni fase di gestione del ciclo della performance, assicurando, altresì, “accessibilità totale” non soltanto dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione, ma anche “delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Per l’altro verso, quel sistema dovrebbe essere il canale vincolato attraverso il quale operano, in concreto, i “principi di selettività e concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi” diretti a valorizzare il merito e promuovere produttività e qualità della prestazione lavorativa. Conseguentemente, il legislatore vieta l’erogazione di incentivi e premi “in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi” in assenza delle prescritte verifiche, e dispone che le risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale siano distribuite in modo non uniforme, e non a tutto il personale, dovendo quest’ultimo essere collocato in fasce diverse di merito secondo percentuali prestabilite dalla legge e alle quali la contrattazione collettiva può apportare soltanto deroghe di limitata portata. Le pubbliche amministrazioni, quindi, devono fornire anche i “dati relativi alla distruzione dei premi al personale” per dar conto del “livello di selettività” a tal fine “utilizzato”.

In considerazione della natura pubblica degli interessi sottesi al rapporto di lavoro “privatizzato”, particolarmente sentita è l’esigenza di individuare strumenti volti a favorire il rispetto del principio di legalità. La legge 190 del 2012 ha dettato una articolata disciplina volta alla “prevenzione” e alla “repressione” della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, che incide anche sui rapporti di lavoro. In particolare, occorre ricordare l’obbligo per le amministrazioni di definire un piano di prevenzione della corruzione, individuando anche, tra i propri dirigenti, il responsabile del rispetto di tale piano.

La violazione delle regole e dei precetti dettati nel piano è fonte di specifica responsabilità disciplinare, estesa anche allo stesso responsabile, laddove non dimostri di aver ottemperato ai propri obblighi di predisposizione del piano e di verifica del suo rispetto. Inoltre, la normativa cd. “anti corruzione” prevede casi di inconferibilità e incompatibilità di incarichi in tutte le ipotesi nelle quali il soggetto abbia riportato determinate condanne, o ricopra posizioni che lo pongano in relazione con interessi privati che siano in possibile conflitto con l’esercizio delle funzioni pubbliche affidate.

È stata, altresì, introdotta una limitazione alla libertà negoziale del dipendente pubblico per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, vietandogli per un determinato periodo, a pena di nullità, di instaurare rapporti di lavoro o collaborazione con datori di lavoro privati, rispetto ai quali come dipendente pubblico abbia esercitato poteri autoritativi o negoziali (si parla di divieto di pantouflage). Il legislatore ha previsto, altresì, la necessità che si proceda al “coordinamento” della normativa anti corruzione “con gli strumenti di misurazione e valutazione delle performance”.

 

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