Nelle pubbliche amministrazioni, la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo non assolve solo alla funzione di individuazione dei soggetti titolari dei diritti sindacali, ma quella di individuare i sindacati abilitati all’attività di contrattazione collettiva nazionale.  Si tratta di una differenza fondamentale con i settori privati: in questi la selezione dei soggetti ammessi al tavolo della trattativa contrattuale non è giuridicamente regolata ed è affidata a rapporto di forza.

Il legislatore, con il d. lgs. n. 29 del 1993 dispone che i requisiti per la qualificazione di un sindacato come maggiormente rappresentativo fossero stabiliti in un apposito accordo tra il presidente del Consiglio dei Ministri e le confederazioni maggiormente rappresentative.  La norma fu oggetto di forti e non ingiustificate critiche e l’11 giugno del 1995 fu sottoposta a un referendum promosso insieme a quelli sull’articolo 19 dello statuto dei lavoratori.  L’esito fu l’abrogazione della norma e la lacuna così creata incentivò l’introduzione di una nuova disciplina che si ebbe con il d. lgs n. 396 del 1997.

Con la novella il datore opta per una regolamentazione puntuale del tema della rappresentatività: il d. lgs n. 165 del 2001 dispone che siano ammessi alla contrattazione collettiva nazionale di comparto o di area i sindacati che realizzino un indice di rappresentatività non inferiore al 5%, calcolato sulla media tra il dato associativo e il dato elettorale.  Il primo è calcolato dalla percentuale delle deleghe per il pagamento dei contributi associativi in favore di ogni singolo sindacato sul totale delle deleghe rilasciate dai lavoratori nell’ambito del contratto da stipulare.  Il secondo è calcolato dalla percentuale dei voti ottenuti dalla lista espressa da ciascun sindacato sul totale dei voti espressi per l’elezione delle rappresentanze sindacali unitarie nello stesso ambito.

Alla trattativa per gli accordi che definiscono i comparti ovvero che dettano regole comuni a più comparti, sono ammesse le confederazioni sindacali alle quali siano affiliati sindacati rappresentativi in almeno due comparti o aree contrattuali.

La nuova disciplina realizza un’inversione del flusso di legittimazione: mentre nell’art. 19 lett. a) la rappresentatività era individuata a livello confederale dell’organizzazione sindacale e si rifletteva su livelli organizzativi inferiori, procedendo dunque dall’alto verso il basso; al contrario, la disciplina in esame dispone che la rappresentatività di ciascuna organizzazione venga misurata dal consenso effettivo tra i lavoratori goduto da ciascun organizzazione nei luoghi di lavoro, per poi riflettersi nella legittimazione negoziale a livello nazionale.  E ciò vale anche per la legittimazione delle confederazioni che deriva da quella ottenuta a livello di comparto dei sindacati ad esse affiliati.

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