Rappresentanza e rappresentatività
Il gruppo organizzato è diverso dalla somma degli individui che lo compongono; ciò impedisce di ricondurre il legame tra il sindacato e i lavoratori all’istituto del mandato con rappresentanza disciplinato degli articoli 1387 e ss e 1704 e ss cc. In questo, infatti, il rappresentante agisce in nome e nell’interesse del soggetto rappresentato; invece il sindacato agisce in nome proprio, perseguendo l’interesse collettivo di cui è titolare.
La rappresentatività invece è definibile come la capacità dell’organizzazione di unificare i comportamenti dei lavoratori in modo che gli stessi operino non ciascuno secondo scelte proprie, ma appunto come gruppo. La rappresentatività non è attribuita a tutte le organizzazioni, anche quelle che nessuna influenza di fatto possono esercitare sulle relazioni industriali, ma solo ai sindacati che, essendo dotati di una effettiva capacità unificatrice del gruppo professionale o almeno di rilevanti frazioni di esso, siano soggetti reali di quella dinamica. Sul piano formale, ciò è avvenuto qualificando alcune organizzazioni come maggiormente rappresentative.
Il sindacato maggiormente rappresentativo
Il testo normativo cardine di questa vicenda è il titolo III della legge 300 del 1970, lo statuto dei lavoratori. Con esso, il legislatore non si limita a ribadire che i lavoratori hanno diritto di esercitare la propria libertà sindacale anche all’interno dei luoghi di lavoro e che il datore di lavoro deve rispettare tale libertà, ma, ponendo in essere quella che è stata definita come legislazione di sostegno o promozionale dell’attività sindacale, ha riconosciuto alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative diritti che favoriscono il rapporto tra l’organizzazione e i lavoratori rappresentati.
Questi diritti implicano un’intromissione nella sfera giuridica dell’imprenditore: ad esempio esercitare il diritto di assemblea significa permanere nel locale di pertinenza dell’imprenditore per svolgere un’attività estranea al rapporto di lavoro; usufruire di un permesso sindacale significa non adempiere alle obbligazioni contrattuali e svolgere un’attività che non è diretta soddisfare l’interesse dell’imprenditore.
È evidente quindi la ragione per cui in questi diritti non sono riconosciuti a tutti, ma solo alle organizzazioni effettivamente rappresentative: scopo del legislatore del 1970 è quello di favorire l’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro; per realizzare ciò deve comprimere alcuni diritti dell’imprenditore.
Dopo lo statuto altre leggi hanno presentato un’analoga esigenza di selezione tra i sindacati attraverso la qualificazione di alcuni di essi come maggiormente rappresentativi. Tali leggi possono dividersi in due categorie:
- la prima riguarda il potere, attribuito ai sindacati maggiormente rappresentativi, di designare i rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali espressivi dell’interesse delle parti sociali (ad esempio il consiglio nazionale dell’economia del lavoro).
- La seconda riguarda norme di legge che riservano ai sindacati maggiormente rappresentativi la legittimazione a stipulare particolari tipi di contratti collettivi (per esempio nel pubblico impiego solo i sindacati maggiormente rappresentativi hanno competenza a negoziare in rappresentanza dei dipendenti pubblici).