Rappresentanza e rappresentatività del sindacato

Il termine rappresentanza sindacale designa attitudine del sindacato svolgere l’attività di tutela degli interessi professionali.

La rappresentanza volontaria degli iscritti costituisce il supporto tecnico sul quale la dottrina quale precorporativa costruì la figura, ignorata dal diritto statuale, del contratto collettivo, allo stesso modo in cui la rappresentanza legale della categoria professionale costituì il supporto teorico sul quale il legislatore corporativo costruì tanto l’efficacia erga omnes a che l’inderogabilità del contratto collettivo. Tale nozione sembra ormai inadeguata; il sindacato ha, quando stipula contratto collettivo, esercita un potere che gli è originariamente proprio e quindi è un potere diverso da quello dei singoli lavoratori iscritti gli avrebbero potuto conferire.

Si riconosce natura ed efficacia di contratto collettivo anche contratti o agli accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali di tipo istituzionale e da parte dei singoli lavoratori.

A livello aziendale, uno dei canali di legittimazione è stato costituito dal requisito della “maggiore rappresentatività”. Lo stesso fenomeno si riscontra a livello nazionale.

La rappresentanza sindacale ha esaurito la sua funzione storica non solo sul piano tecnico.

Il nostro sistema sindacale sembra ruotare e far perno sulla nozione di rappresentatività, la quale costituisce spesso il titolo per l’attribuzione per l’esercizio dei poteri sindacali e dei poteri di autonomia collettiva.

I sindacati maggiormente rappresentativi

La legge nazionale e le leggi regionali facevano riferimento ai sindacati maggiormente rappresentativi.

L’accertamento della maggiore rappresentatività era demandato alla giurisprudenza che escludeva la necessità di una comparazione tra sindacati e generalizzando i dati dell’esperienza storia, considerava indici della maggiore rappresentatività: la consistenza numerica, un ampio arco di settori produttivi, l’effettiva partecipazione alla contrattazione collettiva.

In questa prospettiva dovevano essere considerate maggiormente rappresentative le confederazioni C.G.I.L.,C.I.S.L. e U.I.L.

La crisi della nozione di maggiore rappresentatività

L’orientamento del legislatore a sostenere l’azione dei sindacati maggiormente rappresentativi ha suscitato adesioni e critiche.

Secondo l’art.19 della legge n.300 del 1970, i sostenitori della scelta legislativa riconobbero a quell’ordinamento il merito di avere collocato esigenze di libertà dei singoli lavoratori, ai quali veniva attribuita la facoltà di iniziativa per la costituzione della rappresentanza sindacale aziendale, con l’esigenza di promozione delle associazioni sindacali ritenute in grado di offrire adeguate garanzie di stabilità e affidabilità per l’intero sistema delle relazioni industriali.

Quella scelta legislativa è stata criticata in quanto attribuiva rendite di posizione a favore di associazioni sindacali che erano sottratte all’accertamento della loro effettiva rappresentatività soltanto perché derivano confederazioni sindacali maggiormente rappresentative .

La corte costituzionale chiamata a verificare l’infondatezza di tali critiche, affermava che l’attribuzione di una posizione privilegiata al sindacato maggiormente rappresentativo contrastava né con il principio di eguaglianza ( art. 3 Cost.), né con il principio di libertà sindacale ( art. 39 Cost.).

Il privilegio attribuito dalla legge sindacati maggiormente rappresentativi a quello confederale o nazionale era stato ritenuto dai giudici costituzionali e coerente con il principio di solidarietà, art. 2 Cost..

Nel corso degli anni ’80 e negli anni successivi, la maggiore rappresentatività di talune associazioni sindacali, presunta a livello confederale o nazionale, 8 risultava spesso in contrasto con il rifiuto dell’operato di quelle stesse associazioni da parte della base dei lavoratori nelle singole aziende.

Tra i fenomeni che hanno determinato la crisi abbiamo: le ricorrenti crisi economiche e le difficoltà della gestione dei loro effetti sul piano dei rapporti di lavoro; la progressiva diversificazione e frammentazione delle figure professionali e l’impossibilità della loro rappresentanza unitaria; la nascita di nuovi mestieri.

Lo stesso giudice costituzionale aveva finito per affermare, che ” è andata progressivamente attenuandosi l’idoneità del modello disegnato nell’art. 19 a rispecchiare l’effettività della rappresentatività”, segnalando la necessità di fissare nuove regole ispirate alla valorizzazione dell’effettivo consenso come metro di democrazia anche nell’ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato.

Quel richiamo ha indotto legislatore a elaborare la nuova nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo.

Tale nozione è viene in rilievo in tutte quelle ipotesi nelle quali il legislatore delega specifiche funzioni alla contrattazione collettiva.

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