Anche la fase dell’estinzione del rapporto di pubblico impiego forma oggetto di particolare attenzione da parte della legislazione più recente. La commissione di specifiche condotte da parte del dipendente obbliga il dirigente ad avviare il procedimento disciplinare e “l’ufficio competente” ad irrogare il licenziamento. Ciò al fine di modificare una ben nota situazione nella quale sono state tollerate nel passato anche infrazioni gravissime o la totale assenza di qualsiasi prestazione lavorativa. Unitamente alla fattispecie del licenziamento disciplinato è stato, inoltre, previsto il potere dell’amministrazione di risolvere il rapporto di lavoro nel caso di accertata inidoneità permanente psicofisica al servizio da parte del dipendente, nonché nel caso di reiterato rifiuto di questi di sottoporsi alla visita diretta a verificare la sua idoneità al servizio.

Un problema di rilevante interesse è quello della individuazione della tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo. Per quanto riguarda i lavoratori “vecchi assunti”, l’opinione prevalente riteneva dovesse continuare ad applicarsi la disciplina più favorevole prevista dall’articolo 18 prima delle modifiche apportate dalla legge 92 del 2012, non essendo stati emanati i provvedimenti che avrebbero dovuto stabilire “gli ambiti, le modalità e i tempi” previsti per “armonizzare” l’applicazione al rapporto di lavoro pubblico dei “principi” e dei “criteri” dettati dalla stessa legge.

Una recente pronunzia della Cassazione è stata di diverso avviso, in quanto ha affermato che l’articolo 51 del decreto legislativo 165 del 2001 prevede l’applicazione alle pubbliche amministrazioni della legge 300 del 1970 e delle sue “successive modificazioni ed integrazioni”, e, quindi, anche delle modifiche contenute nella legge 92 del 2012. Una analoga argomentazione potrebbe essere svolta per affermare la applicabilità ai lavoratori “nuovi assunti” della disciplina del contratto a tutela crescenti, in quanto il decreto legislativo 165 del 2001 dispone un rinvio di carattere generale alle leggi “sui rapporti di lavoro subordinato nella impresa”, che non opera solo laddove una specifica disposizione stabilisca diversamente.

Tuttavia, l’importanza di tale questione rende opportuno che la sua soluzione venga data da una esplicita ed univoca disposizione che chiarisca la volontà parlamentare. Infine, diversamente dal lavoro privato, nel pubblico impiego sono previsti limiti di età per la permanenza in servizio, raggiunti i quali il dipendente è collocato a riposo. Il dipendente pubblico, di norma, non può beneficiare nemmeno della possibilità di differire la data del pensionamento sino a 70 anni, come previsto dalla legge 214 del 2001, poiché essa fa espressamente salvi i “limiti ordinamentali” che stabiliscono l’età di collocamento a riposo.

Anzi, al fine di favorire “il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni”, è consentito alle P.A. di risolvere unilateralmente il contratto di lavoro con un preavviso di 6 mesi, anche prima dell’età per il collocamento a riposo, nel momento in cui il lavoratore raggiunga l’anzianità massima contributiva utile per la pensione cd. anticipata. Unicamente nel caso in cui il dipendente non abbia maturato alcun diritto a pensione al compimento dell’età limite ordinamentale ha diritto a proseguire il rapporto di lavoro sino al raggiungimento dei requisiti minimi per l’accesso a pensione, e comunque non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età.

 

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