Incalzato dalle esigenze sempre più pressanti della finanza pubblica, agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, il legislatore ha avviato un processo di profonda risistemazione dell’ordinamento pensionistico. L’esigenza di fondo è stata duplice: per un verso, ridurre la spesa previdenziale in crescita esponenziale; per l’altro verso, armonizzare le discipline dei diversi regimi applicabili alle varie categorie, eliminando le situazioni di privilegio, specie tra settore pubblico e settore privato.

Per realizzare queste esigenze, si è resa necessaria una lunga serie di interventi. L’inadeguatezza dei singoli interventi è stata determinata, in sostanza, dalla scelta delle diverse maggioranze parlamentari, di volta in volta legiferanti, di contenere fin dove possibile l’impatto sociale delle modifiche apportate ai regimi pensionistici. È evidente che si tratta di scelta che, da un lato, può essere considerata espressione di una comprensibile volontà di difesa delle aspettative in materia pensionistica maturate dai lavoratori che avevano iniziato a prestare la loro attività nel periodo in cui erano stati introdotti i più favorevoli regimi previgenti; d’altro lato, però, può essere anche considerata l’effetto del cedimento da parte di una politica sensibile alle pressioni di lobby e corporazioni.

La serie delle riforme ha preso avvio negli anni 1992-1993 prevedendo: l’ampliamento del periodo di riferimento della retribuzione da prendere come parametro per il calcolo dell’importo della pensione; l’elevazione dei requisiti di età anagrafica e contributiva per conseguire il diritto a pensione; l’inasprimento del regime del cumulo tra pensione e redditi da lavoro; il blocco temporaneo della pensione di anzianità e del meccanismo di perequazione automatica. Successivamente, è stato fissato l’obiettivo di stabilizzare il rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo, soprattutto attraverso la reintroduzione del criterio di calcolo contributivo delle pensioni.

Per effetto di tale criterio, l’importo della pensione è determinato sulla base dei contributi versati nell’intero arco della vita stessa e della presumibile durata del periodo in cui la pensione verrà corrisposta. Quell’importo, infatti, è calcolato moltiplicando il cd. coefficiente di trasformazione, che è determinato tenendo conto dell’attesa di vita del pensionato e dell’andamento del PIL, per il montante individuale contributivo, che corrisponde all’insieme dei contributi versati nel corso dell’intero periodo lavorativo e poi rivalutati anche in base all’andamento del PIL.

Però, gli effetti previsti della riforma introdotta dalla legge 335 del 1995 sono stati differiti nel tempo, in quanto l’applicazione integrale del nuovo criterio contributivo fu prevista soltanto per i lavoratori assunti a partire dal 1 gennaio 1996. Ed invece: a) ai lavoratori che, al 31 dicembre 1995, avevano già maturato 18 anni di contribuzione ha continuato ad applicarsi il più favorevole criterio retributivo; b) a quelli che avevano maturato meno di 18 anni di contribuzione, si applica il criterio misto (o pro-rata), ovvero retributivo per le contribuzioni maturate sino al 31 dicembre 1995, e contributivo per le contribuzioni maturate successivamente.

Il legislatore ha dettato, contestualmente, una disciplina volta a regolare e promuovere forme di previdenza complementare, proprio al fine di compensare gli effetti delle riduzioni della tutela assicurata dalle pensioni pubbliche, e ciò soprattutto nei confronti di quei lavoratori che, a causa dell’applicazione del nuovo criterio contributivo, hanno subito un drastico ridimensionamento delle loro aspettative pensionistiche. Va evidenziato che l’introduzione del criterio contributivo comporta un riavvicinamento al principio di corrispettività tra contributi versati e prestazioni erogate, e determina una attenuazione dell’ispirazione solidaristica dell’attuale sistema pensionistico. Ciò nonostante, il principio di solidarietà continua a caratterizzare istituti del nostro sistema pensionistico.

Ne sono ancora dimostrazione, tra l’altro, non soltanto la stessa tecnica di gestione finanziaria della ripartizione che realizza una generale solidarietà tra generazioni, ma anche, in modo particolare, il principio di automaticità delle prestazioni e l’istituto della perequazione automatica delle pensioni. In base al principio di automaticità, le prestazioni sono dovute al prestatore di lavoro anche quando il datore di lavoro non abbia versato regolarmente i contributi dovuti. Soltanto nella tutela per la vecchiaia, l’invalidità e i superstiti, quel principio ha una applicazione parziale, nel senso che il requisito di contribuzione si intende maturato esclusivamente se i contributi, pur non essendo stati effettivamente versati, non siano ancora prescritti, e quindi risultino ancora dovuti e “recuperabili”.

Invece, quando la prescrizione è maturata, e quindi i contributi non sono più recuperabili, i contributi non versati non possono essere considerati utili né ai fini della maturazione del diritto a pensione, né ai fini del calcolo di quest’ultima. Nondimeno, è espressione del principio di solidarietà anche l’istituto della perequazione automatica delle pensioni, che ha la funzione di adeguare costantemente il livello della pensione all’aumento del costo della vita, sia pure tenendo conto della differenza di situazioni di bisogno a seconda dell’ammontare del trattamento pensionistico. Tale istituto, infatti, trova applicazione mediante il sistema dei cd. scaglioni, in base al quale la perequazione decresce proporzionalmente al crescere dell’importo della pensione.

Negli anni duemila è proseguito il cammino delle riforme. In particolare, si è reso necessario elevare ulteriormente i requisiti di età anagrafica richiesti per conseguire il diritto a pensione, introducendo anche la previsione di un automatico adeguamento di quei requisiti all’incremento dell’indice statistico della speranza di vita. Sotto il profilo dell’equità, è proseguito, inoltre, il processo di omogeneizzazione delle tutele, già avviato, tra il regime generale gestito dall’INPS e i diversi regimi speciali che ancora oggi caratterizzano il nostro sistema previdenziale.

Infine, con la più recente riforma previdenziale, il legislatore ha disposto il passaggio definitivo al sistema di calcolo contributivo, estendendolo a tutti i lavoratori dal 1 gennaio 2012, sia pure sempre con la applicazione del principio del prorata e, cioè, per la sola quota di pensione maturata da quel momento in poi. Nel loro complesso, quindi, gli interventi dell’ultimo decennio hanno introdotto ulteriori elementi di razionalizzazione in linea con quelli già attuati nel corso degli anni novanta del secolo scorso, perseguendo il medesimo obiettivo di rendere compatibile il livello della spesa pensionistica con le esigenze di bilancio e di crescita economica del paese. Tuttavia, non sono mancati interventi contraddittori, che hanno determinato non un contenimento, ma un ulteriore incremento della spesa pensionistica.

 

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