Il legislatore stesso ha contribuito ad aggravare la crisi del sistema previdenziale pubblico, rendendolo sempre meno sostenibile e introducendo in esso alcune distorsioni. Ed infatti, il legislatore ordinario non solo aveva esteso progressivamente il campo di applicazione della tutela previdenziale, ma ha introdotto anche significativi miglioramenti delle prestazioni privi di adeguate garanzie di copertura a lungo termine.

In particolare, il legislatore ha adottato una serie di provvedimenti volti ad anticipare sempre più l’età del pensionamento, ed a collegare il livello delle prestazioni alle ultime retribuzioni percepite, assicurando un tasso di sostituzione della pensione al reddito di lavoro molto elevato. Per tasso di sostituzione, si intende il rapporto tra l’importo della retribuzione percepita dal lavoratore e quello della pensione erogata. Tale rapporto ha portato a consentire che la pensione fosse determinata in misura pari alla retribuzione.

Così, anche se l’articolo 38 della Costituzione prevede tra gli eventi protetti la “vecchiaia”, e cioè il raggiungimento di una determinata età anagrafica che faccia presumere l’incapacità o l’eccessiva gravosità della proficua prosecuzione del lavoro, il legislatore ordinario ha introdotto un ulteriore trattamento pensionistico, detto di anzianità, il quale inizialmente era collegato soltanto al requisito della durata del lavoro svolto, cosicché esso prescindeva del tutto dal requisito dell’età anagrafica.

Addirittura, nel settore pubblico è stato consentito, in alcuni casi, il pensionamento con una anzianità di servizio estremamente ridotta (20 anni, o anche meno), generando così pensionati quarantenni, o anche infraquarantenni. Inoltre, specialmente nel corso degli anni ottanta e novanta del secolo scorso, è stato fatto ampio ricorso ai cd. prepensionamenti, al fine di agevolare l’esodo del personale in esubero da aziende o da settori produttivi in crisi mediante il riconoscimento del diritto alla pensione con un anticipo di cinque o più anni rispetto alla disciplina ordinaria.

Per altro verso, il legislatore ha introdotto il più favorevole sistema cd. retributivo di calcolo della pensione, in base al quale l’ammontare di quest’ultima è legato alla media delle retribuzioni, di norma molto più elevate, percepite nell’ultimo periodo di lavoro. Inoltre, è stata prevista l’eliminazione del tetto massimo di retribuzione pensionabile, il quale era stato introdotto proprio per limitare la lievitazione dei livelli della pensione retributiva. Infine, a fianco del regime generale gestito dall’INPS, sono stati previsti fondi speciali sostitutivi per alcune categorie di lavoratori, la cui disciplina prevedeva requisiti e criteri di calcolo più favorevoli per la maturazione del diritto ai trattamenti pensionistici.

In questo modo, l’evoluzione del sistema previdenziale non ha tenuto pienamente conto dei principi costituzionali, poiché ha finito con il tutelare anche eventi che prescindevano dall’esistenza di una effettiva situazione di bisogno e con l’erogare anche prestazioni eccedenti la garanzia dell’adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore. Quella evoluzione, inoltre, ha implicato, in concreto, un significativo trasferimento di oneri alle generazioni successive, senza la previsione di adeguate coperture finanziarie.

Ne è conseguita, quindi, una attuazione non sempre lineare e coerente della funzione previdenziale, che in alcuni casi ha dato luogo a forme di assistenzialismo, ed in altri ha concesso tutele generose ai settori e alle categorie maggiormente in grado di esercitare pressioni corporative. In ogni caso, anche per questi usi impropri, le risorse necessarie sono state reperite tramite il crescente ricorso al debito pubblico sacrificando, così, l’interesse delle generazioni future.

 

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