Contrattazione collettiva, legge nazionale e ordinamento comunitario distinguono dalla fattispecie dei licenziamenti individuali quella dei licenziamenti collettivi. Già nel 1947, fu sottoscritto un accordo interconfederale che, nel settore dell’industria, prevedeva per i licenziamenti collettivi una specifica disciplina sindacale. La legge 604 del 1966, poi, nel disciplinare i licenziamenti individuali, ha escluso espressamente dal proprio campo di applicazione “la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale”.

In ambito comunitario, fin dal 1975 è stata emanata una direttiva volta a “rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto della necessità di uno sviluppo economico sociale equilibrato nella Comunità”. Tale direttiva è stata trasposta in Italia. Le ragioni della specificità della disciplina prevista per i licenziamenti collettivi possono essere comprese agevolmente. Da un lato, quei licenziamenti, coinvolgendo una collettività di lavoratori, hanno un rilievo non meramente individuale e determinano conseguenze sociali ed economiche ben più ampie; d’altro lato, la decisione dell’imprenditore di procedere ad una riduzione di personale è una direttiva ed immediata esplicazione della libertà di iniziativa economica privata.

Per queste ragioni, anche l’originaria disciplina degli accordi interconfederali non negava il diritto dell’imprenditore di ridurre l’organico, ma mirava a condizionare l’esercizio di tale diritto, prevedendo l’obbligo di svolgere preventivamente una procedura di consultazione e conciliazione nell’ambito della quale il sindacato aveva la possibilità di svolgere la propria azione per indurre l’imprenditore a desistere (in tutto o in parte) dai licenziamenti.

Nel caso di esito negativo, l’imprenditore restava libero di dare corso ai licenziamenti nel numero programmato, anche se l’individuazione dei lavoratori da licenziare doveva essere effettuata sulla base di criteri oggettivi, quali esigenze tecnico-produttive, anzianità di servizio, carichi di famiglia, così da evitare scelte arbitrarie o discriminatorie. La disciplina prevista dagli accordi interconfederali risentiva dei limiti di efficacia legati al suo campo di applicazione. Essa ha anticipato l’impostazione fatta propria dalla legge 223 del 1991 la quale prevede ancora oggi, a favore dei lavoratori, una tutela di carattere procedurale e il ricorso a criteri oggettivi nella scelta dei lavoratori da licenziare, riconoscendo per il resto la libertà del datore di lavoro di procedere ai licenziamenti programmati.

Nonostante il confermato principio della libertà di dimensionamento (e ridimensionamento) dell’organico dell’azienda, l’esperienza concreta ha mostrato come, di fatto, i licenziamenti collettivi abbiano formato oggetto di un contenzioso dagli esiti imprevedibili, a causa sia della notevole complessità della procedura prevista dalla legge, sia delle difficoltà legate all’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, sia della non univocità degli orientamenti giurisprudenziali formatisi in relazione ai diversi problemi interpretativi posti dalla legge stessa. Anche con riguardo alla materia dei licenziamenti collettivi, quindi, il legislatore ha ritenuto di dover intervenire nella direzione di mitigare il sistema sanzionatorio applicabile.

 

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