Il legislatore ha iniziato a mostrare un chiaro favore nei confronti della contrattazione di secondo livello adottando misure volte ad incentivare le retribuzioni legate ad incrementi di produttività, redditività, qualità, innovazione ed efficienza organizzativa. La ratio di tali misure è quella di spostare la “distribuzione” della retribuzione correlata alla produttività nei luoghi in cui quest’ultima può essere effettivamente misurata e dove effettivamente si realizzano i risultati che possono dare luogo ad un “dividendo” tra i lavoratori.
Successivamente, il legislatore ha tentato di imprimere una decisa accelerazione nella direzione della “adattabilità” del sistema contrattuale alle esigenze degli specifici contesti produttivi, con l’articolo 8 del decreto legislativo 138 del 2011. Tale disposizione attribuisce ai contratti collettivi stipulati a livello aziendale e territoriale la possibilità di sottoscrivere “intese” efficaci nei confronti di tutti i lavoratori interessati, in relazione ad un ventaglio molto ampio di “materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione”.
Diversi sono i punti critici dell’intervento del legislatore. La disciplina di legge, infatti, incide sugli equilibri endosindacali e intersindacali, ed è stata perciò sospettata di essere in contrasto con il principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39, comma 1 della Costituzione, in quanto estende la gamma delle materie rimesse alla contrattazione di prossimità e conferisce a quest’ultima un potere di derogare non solo la contrattazione nazionale, ma anche la legge. Si dubita, altresì, della costituzionalità della attribuzione di efficacia generale alle intese in questione, poiché tale attribuzione è disposta sulla base di un modello diverso da quello previsto dall’ultimo comma dell’articolo 39 della Costituzione.
Ma una parte della dottrina obietta che questa ultima disposizione costituzionale riguarderebbe esclusivamente i contratti di categoria e, quindi, non sarebbe applicabile ai contratti di diverso livello. Peraltro, il modello dell’articolo 8 del decreto legge 138 del 2001 si fonda sul principale requisito desumibile dal precetto costituzionale, poiché l’efficacia generale delle “intese” è riconosciuta a condizione che esse siano sottoscritte “sulla base di un criterio maggioritario” riferito alle rappresentanze sindacali legittimate alla loro stipulazione.
Si contesta, infine, l’ampiezza delle materie sulle quali è stato concesso alla contrattazione di prossimità il potere di derogare la legge, poiché quel potere non è limitato a specifiche ipotesi come era sempre avvenuto nei precedenti casi in cui il legislatore aveva fatto ricorso al modello della “deregolazione controllata”, così da suscitare il timore che ciò possa mettere a rischio l’intero sistema legale di tutela del lavoro. Ma va sottolineato che la delega alla contrattazione prossimità, per quanto ampia, non ha un “ambito illimitato”, poiché riguarda solo le specifiche materie tassativamente elencate.
Ed inoltre, quella delega trova un limite invalicabile nella condizione che essa operi nel “rispetto della Costituzione” e dei “vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro”; ditalché il timore di uno “smantellamento” della tutela legale appare infondato. In ogni caso, è da constatare come le polemiche che hanno accompagnato l’articolo 8 del decreto legislativo 138 del 2011 abbiano determinato una sua limitata applicazione da parte delle organizzazioni sindacali.
E anche la legislazione successiva sembra non tenere conto dell’esistenza di tale disposizione, prevedendo norme che prefigurano la volontà di promuovere, indirettamente, la contrattazione territoriale e aziendale, ma senza prevedere una sovraordinazione di tali livelli contrattuali rispetto al contratto nazionale. Di particolare rilievo è la tecnica normativa utilizzata dal decreto legislativo 81 del 2015, avente ad oggetto la “disciplina organica dei contratti di lavoro”, e la “revisione della normativa in tema di mansioni”.
Ed infatti, dopo aver fatto frequente rinvio ai “contratti collettivi”, tale decreto legislativo stabilisce che tale rinvio è riferito, indistintamente, ai “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Da ciò si desume sia una valutazione di pari idoneità dei diversi livelli di contrattazione a realizzare gli scopi della legge, sia il riconoscimento che, rispetto alla disciplina legale, la contrattazione aziendale può essere svolta dagli organismi di rappresentanza presenti in azienda anche senza la “assistenza” o la “intesa” delle strutture aziendali esterne.