La retribuzione dovuta al lavoratore è costituita da una pluralità di attribuzioni patrimoniali, che hanno origini e finalità diverse. La più utile distinzione che deve essere tenuta presente, al fine di classificare le diverse attribuzioni, è tra quelle che hanno fonte legale e quelle che hanno fonte nella contrattazione collettiva. Le erogazioni di fonte legale, infatti, sono generalmente applicabili a tutti i lavoratori, e anche i contratti collettivi non possono disporre di esse, se non nei limiti individuati dalla legge stessa.

Le attribuzioni di fonte collettiva, invece, non sono sottoposte ad alcun limite legale e possono, quindi, essere liberamente regolate dalle parti sindacali per quanto riguarda sia i destinatari, sia le condizioni di maturazione del diritto, sia i criteri di calcolo. Tra le attribuzioni di fonte legale possono essere ricordate le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, il lavoro supplementare nel part-time, il lavoro notturno, il lavoro domenicale e quello prestato durante le altre ricorrenze festive.

Tali maggiorazioni possono essere considerate anche attuazione del principio costituzionale della proporzionalità della retribuzione, essendo dirette a prevedere una remunerazione aggiuntiva per prestazioni da ritenersi più gravose di quelle retribuite dalla sola retribuzione “base”. Molto più numerose ed eterogenee sono le attribuzioni di fonte collettiva. Pressoché generalizzata è la tredicesima mensilità. La corresponsione di tale mensilità aggiuntiva di retribuzione, pur avendo origine contrattuale, è ritenuta obbligatoria per tutti i lavoratori dell’industria (cui l’accordo interconfederale che l’ha prevista si riferisce).

In alcuni settori è prevista anche una quattordicesima mensilità, corrisposta nel mese di giugno. Ampia diffusione hanno anche gli scatti di anzianità, che costituiscono aumenti periodici legati all’anzianità di servizio e alla presunta maggiore qualità della prestazione derivante dalla crescita dell’esperienza professionale; ma la contrattazione collettiva ha avviato da tempo un processo di riduzione della loro incidenza complessiva, ritenendo che essi rappresentino un automatismo di incremento della retribuzione che assorbe risorse del costo del lavoro più opportunamente utilizzabili per incentivare la produttività ed il merito.

A livello aziendale era pure relativamente diffusa la previsione di premi annuali, conseguiti adottando come parametro un qualsiasi indicatore di produttività o di redditività, (quali i premi di presenza) o di “superminimi” collettivi, che costituiscono incrementi fissi della retribuzione “base”. Dai superminimi collettivi sono da tenere distinti i “superminimi” individuali, o ad personam, che possono essere concessi unilateralmente dal datore di lavoro o costituire oggetto di accordo tra le parti (al momento dell’assunzione, o nel corso del rapporto di lavoro).

Va ricordato, infatti, che anche in materia retributiva le disposizioni dei contratti collettivi sono inderogabili solo in pejus, ed è, quindi, sempre consentita la previsione di condizioni individuali di miglior favore per il lavoratore. Si pone, al riguardo, il problema di sapere se il superminimo concesso individualmente possa essere o no “assorbito” dagli aumenti della retribuzione previsti da contratti collettivi stipulati successivamente. Questo problema è risolto spesso nell’atto stesso di concessione del superminimo, mediante una previsione esplicita.

Ma, la soluzione deve essere fatta, comunque, discendere dalla volontà negoziale, sia pure ricavata mediante l’applicazione dei criteri di interpretazione diversi da quello testuale. Tendenzialmente, si è indotti a ritenere che l’assorbimento deve essere escluso quando risulti che il superminimo sia stato attribuito per premiare particolari qualità del lavoratore. Infine, i contratti collettivi prevedono una eterogenea varietà di indennità collegate a condizioni particolari del lavoro, le quali hanno, anche esse, solitamente natura retributiva, poiché costituiscono il corrispettivo della prestazione di lavoro.

Non hanno, invece, natura retributiva le attribuzioni che non costituiscono corrispettivo della prestazione di lavoro. Così è per quanto riguarda: i rimborsi spese, i quali hanno ad oggetto esclusivamente la reintegrazione del patrimonio del lavoratore dalle spese sostenute nell’interesse del datore di lavoro; le elargizioni corrisposte dal datore di lavoro per mera liberalità; altre attribuzioni che abbiano una causa distinta ed autonoma dal contratto di lavoro, come avviene nel caso di fornitura di beni o servizi aziendali al loro normale prezzo di mercato.

Diversamente dalla retribuzione tabellare, le altre voci retributive sono normalmente determinate mediante la previsione dei criteri per provvedere alla loro determinazione. Per il trattamento di fine rapporto, ad esempio, si deve tenere conto di “tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale”, restando salva l’eventuale “diversa previsione dei contratti collettivi”; nell’indennità di mancato preavviso, va computato “ogni compenso di carattere continuativo”; per le festività non lavorate, è previsto il diritto alla “normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio”.

Nei casi appena elencati, quindi, la base di calcolo dell’istituito retributivo previsto dalla legge è individuata utilizzando come parametro di riferimento una nozione ampia di retribuzione. Non esistendo un principio generale di onnicomprensività della retribuzione, la individuazione della base di calcolo degli istituti diversi dalla retribuzione tabellare deve essere fatta discendere dall’interpretazione delle specifiche disposizioni di legge e contrattuali che regolano ciascuno di essi.

Va ricordato, infine, che la retribuzione costituisce anche il reddito sulla base del quale sono calcolati e versati i contribuiti previdenziali e le imposte. A tal fine, il legislatore individua una base di calcolo notevolmente ampia, funzionale all’incremento delle risorse destinate al finanziamento del sistema tributario e della previdenza sociale. Specifiche disposizioni, però, prevedono esclusioni o riduzioni dell’obbligo impositivo, al fine di perseguire determinati obiettivi di politica economica e sociale.

 

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