A) la nozione legale

Per la determinazione dell’importo dei contributi previdenziali dovuti alle forme di tutela previdenziale dei lavoratori subordinati, è determinante l’individuazione della retribuzione da prendere come base per l’applicazione delle percentuali previste dalla legge.

La nominativa vigente prima del 1969 considerava retribuzione, ai fini contributivi, tutto ciò che il lavoratore riceve, in danaro o in natura, dal datore di lavoro per compenso dell’opera prestata.

La disciplina del 1969, invece, considerava retribuzione, ai fini contributivi,tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, in danaro o natura, in dipendenza del rapporto di lavoro.

Era assoggettabile a contribuzione previdenziale non solo il corrispettivo in senso oggettivo del lavoro prestato, ma anche il corrispettivo in senso soggettivo.

Un ulteriore evoluzione della nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale si è avuta, di recente, con l’emanazione del decreto legislativo 2 settembre 1997 n. 314.

La legge n. 662 del 1996 aveva indicato come criterio direttivo la completa equiparazione, ove possibile della nozione di reddito imponibile a fini fiscali e di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale.

Sennonché, l’inciso “ove possibile” segnava un limite al legislatore delegato.

Di conseguenza, l’art. 6 del d.lgs. n.314 del 1997, che ha novellato l’art. 12 della legge n. 153 del 1969, dev’essere interpretato nel senso che la nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale è deferita mediante il rinvio all’art. 46 del TUIR e non all’art. 48 TUIR che definisce il reddito da lavoro ai fini del prelievo fiscale.

Ne deriva che la nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale non ha subito sostanziali modifiche posto che l’art. 46 del TUIR stabilisce che ” sono redditi di lavoro dipendenti quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze sotto la direzione di altri”.

Sono espressamente escluse sia l’indennità di anzianità che l’indennità di cassa e alle quali sono state aggiunte le erogazioni liberali concesse dal datore di lavoro, in occasione di festività o ricorrenze, alle generalità o a categorie di lavoratori; i pasti consumati nelle mense aziendali.

Sono escluse le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori.

Restano, invece, comprese da retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale le integrazioni delle prestazioni previdenziali economiche che i contratti collettivi pongono a carico dei datori di lavoro in caso di assenza dal lavoro per malattia, infortunio o gravidanza e puerperio.

 

B) l’interpretazione giurisprudenziale

La giurisprudenza, sostituendo il requisito della dipendenza da rapporto di lavoro, voluto dal legislatore, con il criterio della coincidenza temporale con rapporto stesso, aveva finito con il ritenere assoggettabile a contribuzione previdenziale qualsiasi erogazione che, a prescindere dall’accertamento della sua natura e funzione, avvenisse durante rapporto di lavoro emesse nell’esistenza di tale rapporto la ragione, anche indiretta o occasionale, della sua erogazione.

L’unico limite all’assoggettabilità a contribuzione previdenziale finiva per essere costituito dalla tassativa elencazione prevista dalla legge.

Di qui la nozione di retribuzione assoggettabile a condizione previdenziale è stata estesa fino a ricomprendervi le somme erogate dal datore di lavoro da soggetti diversi dal lavoratore.

Quella giurisprudenza però era stata più volta contraddetta dal legislatore con l’emanazione di numerose disposizioni recanti l’interpretazione autentica dell’art. 12 legge 153/1969.

Fin quando la legge n. 335 del 1995 non ha modificato i criteri di calcolo delle pensioni, la retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale costituiva anche la base di calcolo dell’ammontare delle prestazioni pensionistiche.

Di conseguenza, il rigore mostrato dalla giurisprudenza degterminava la lievitazione degli oneri contributivi posti a carico di ambedue le parti del rapporto di lavoro e non concorreva al risanamento delle finanze previdenziali in quanto elevava i livelli pensionistici delle prestazioni previdenziali.

 

C) l’interpretazione legislativa

Si era assistito a ripetuti interventi legislativi, volti a fornire una interpretazione autentica dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969 che determinava l’esclusione, totale o parziale, dall’imposizione contributiva degli specifici trattamenti di volta in volta presi in considerazione.

Il legislatore, da un lato, aveva stabilito che la disposizione dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969 doveva essere interpretata nel senso che sono escluse dall’imposizione contributiva e che sono assoggettate esclusivamente ad un contributo di solidarietà, a carico dei datori di lavoro, “le contribuzioni e somme, versate o accantonate, a finanziamento di casse, di fondi, gestioni o forme assicurative previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e suoi familiari nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione”.

Dall’altro, il legislatore aveva anche stabilito che l’art. 12 della legge n. 153 nel 1969 da essere interpretato nel senso che nella diaria onde indennità di trasferta sono ricomprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti a per contratto ad una attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quello della sede aziendale, anche se corrisposti con carattere di continuità.

Il legislatore aveva anche stabilito che non è assoggettabile a contribuzione previdenziale il finanziamento dei servizi di mensa e di trasporto predisposti dal datore di lavoro a favore della generalità dei lavoratori e per esigenze connesse con l’attività lavorativa.

Più di recente il legislatore aveva affermato che sono escluse dalla retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale: le spese sostenute dal datore di lavoro per il funzionamento degli asili nido aziendali; le spese per il finanziamento di circoli aziendali; le differenze tra il prezzo di mercato e quello agevolato praticato per l’assegnazione ai dipendenti di azioni della società datrice di lavoro ovvero di società controllanti o controllate.

Il legislatore aveva escluso dalla retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale anche: le spese sostenute dal datore di lavoro per colonie climatiche in favore di figli dei dipendenti, o universitari; il valore dei generi prodotti azienda ceduti dipendenti.

Era stato assoggettato a contribuzione previdenziale il 50% della differenza tra il costo aziendale della provvista relativa ai mutui e prestiti concessi dal datore di lavoro dipendenti e il tasso agevolato se inferiore al predetto costo, applicato ai dipendenti stessi.

 

D) l’uniformità di disciplina

Alcune gestioni pensionistiche prevedevano voci della retribuzione limitate, sia per quanto concerne l’assoggettamento a contributo, sia per quanto concerne quelle da assumere a parametro di calcolo per i trattamenti di pensione. Tali specificità sono state però superate. E infatti la disciplina dettata per il regime generale è stata estesa a regimi esclusivi dei dipendenti dello stato e degli enti locali e a quelli sostitutivi.

 

E) minimali e massimali di contribuzione e di retribuzione pensionabile

La gestione dei dirigenti di aziende industriali prevedeva un limite massimo della retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale e di quella pensionabile.

Nell’assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni dei quali trova applicazione l’art. 13 della legge n. 153 del 1969, non era previsto alcun limite massimo di retribuzione, oltre il quale viene meno l’l’obbligo contributivo. Tale limite è stato recentemente introdotto per tutti lavoratori che iniziano l’attività lavorativa dopo il 1 ° gennaio ha 1996 e per i lavoratori che opterranno per la liquidazione della pensione di vecchiaia unificata con il nuovo sistema contributivo.

Per la retribuzione da assumere a parametro per il calcolo delle pensioni retributive è fissato un massimale.

Tale massimale viene progressivamente adeguato nel tempo con atto apposita normativa.

Per contro è previsto un minimale di retribuzione, ai fini del calcolo dei contributi previdenziali dovuti.

La retribuzione da assumere come base di quel calcolo non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale e non può essere inferiore al 9, 5% dell’importo del trattamento minimo mensile della pensione a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Il legislatore ha disposto che, nella determinazione delle voci indirette o indiretta della retribuzione si debba necessariamente tener conto della effettiva volontà delle parti stipulanti i contratti collettivi e gli accordi sindacali aziendali che li prevedono.

Un tipo particolare di minimale di retribuzione, ai fini del versamento dei contributi previdenziali, è previsto per i rapporti di lavoro ad orario ridotto.

La contribuzione è determinata su retribuzione media convenzionale, non solo per i lavoratori italiani all’estero, ma anche per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni e sul reddito professionale netto imponibile ai fini IRPEF per gli altri lavoratori autonomi.

 

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