L’art.28 dello Statuto dei Lavoratori (“repressione della condotta antisindacale”) legittima il giudice a reprimere ogni comportamento del datore di lavoro diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, nonché del diritto di sciopero.

Occorre innanzitutto evidenziare che:

  • L’introduzione della tutela giurisdizionale in un’area tradizionalmente riservata ai rapporti tra le parti è estremamente innovativa ed opera un importante bilanciamento di poteri tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali.
  • Si tratta di una tutela molto ampia, perché è sia inibitoria (comporta la cessazione della condotta illegittima), sia ripristinatoria (mediante la rimozione degli effetti del comportamento antisindacale ed il ristabilimento della situazione precedente).
  • E’ una garanzia effettiva dell’interesse sindacale, assai più efficace dei rimedi tradizionali come il risarcimento del danno e le forme di invalidità e di inefficacia dell’atto.
  • Si tratta di una norma in bianco perché non definisce una fattispecie specifica: la condotta del datore di lavoro si configura come antisindacale ogni volta che impedisce o limita l’esercizio effettivo della libertà sindacale, dell’attività sindacale o del diritto di sciopero.
  • L’indeterminatezza della previsione normativa deriva dal fatto che i beni oggetto della tutela possono essere lesi da una varietà di comportamenti e da una serie di modalità che non è possibile determinare a priori. Per tale ragione, il legislatore ha sanzionato la condotta lesiva del datore di lavoro, ma deliberatamente non ha precisato la descrizione dei comportamenti non consentiti, preferendo ricorrere ad una definizione aperta, che vieta tutte quelle condotte oggettivamente idonee a recare offesa ai beni protetti.
  • Non è richiesta la prova dell’intenzionalità del comportamento del datore di lavoro: la condotta deve essere oggettivamente idonea ed attuale a produrre il risultato vietato dalla legge. E’ quindi sufficiente che la condotta sia potenzialmente idonea a ledere l’interesse del sindacato, senza che si verifichi necessariamente la lesione.
  • La condotta deve essere attuale, nel senso che gli effetti devono essere attuali. Dunque, il comportamento denunciato come antisindacale può considerarsi attuale qualora persistano gli effetti della condotta al momento della presentazione della domanda.
  • La condotta del datore di lavoro può essere definita come antisindacale quando si oppone al conflitto, e non quando si oppone semplicemente alle pretese del sindacato. Quindi non può considerarsi condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di concludere un contratto collettivo a certe condizioni richieste dal sindacato.

 

La casistica giurisprudenziale

Certamente la struttura di norma in bianco dell’art.28 ha favorito l’emersione di una casistica giurisprudenziale amplissima:

a1) Con riguardo all’ipotesi della sostituzione dei lavoratori assenti per sciopero, la giurisprudenza ha specificato che integra una condotta antisindacale l’assunzione di altri lavoratori non luogo di quelli scioperanti: è il cosiddetto crumiraggio esterno.

a2) Non è invece sanzionabile la sostituzione dei lavoratori scioperanti con il personale dipendente che non partecipa allo sciopero (il cosiddetto crumiraggio interno) perché non può essere negato al datore di lavoro il diritto di continuare l’attività aziendale.

a3) Si considera comunque condotta antisindacale la sostituzione di lavoratori in sciopero con personale di livello superiore quando l’adibizione a mansioni inferiori violi l’art.2103.

a) In alcune determinate ipotesi il legislatore ha identificato la fattispecie specifica di comportamento antisindacale, come nel caso di omessa informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali nel trasferimento di azienda.

 

La condotta antisindacale plurioffensiva

Legittimazione attiva e passiva.

La condotta antisindacale può colpire:

  • Interesse del sindacato in quanto associazione. Si pensi al rifiuto del datore di lavoro di affiggere un comunicato sindacale nell’apposita bacheca.
  • Interesse collettivo dei lavoratori. Si pensi all’impedimento di indire un’assemblea.
  • Interesse del singolo lavoratore che svolge attività sindacale. Si pensi al licenziamento o all’irrogazione di una sanzione disciplinare nei confronti del lavoratore scioperante.

Nei casi 2 e 3, il comportamento del datore di lavoro è definito plurioffensivo, perché colpisce le prerogative del sindacato attraverso la lesione dei diritti soggettivi dei singoli lavoratori:

a1) La condotta antisindacale plurioffensiva mette in evidenza come il sindacato e il singolo possano proporre giudizi separati: quello della repressione della condotta antisindacale e quello per la tutela dei diritti soggettivi del singolo lavoratore, lesi dalla condotta medesima

a2) Secondo la Cassazione, tra le due azioni non c’è alcun nesso di pregiudizialità e possono concludersi diversamente senza che per questo si configuri un contrasto tra giudicati in senso tecnico.

b1) Il sindacato agisce utilizzando la particolare procedura prevista dall’art.28 in via autonoma a tutela del proprio interesse e no in rappresentanza del lavoratore. La nozione di “interesse” deve essere intesa in senso ampio e non qualificato: non è necessario che il sindacato sia stato colpito direttamente o indirettamente dal comportamento, ma è sufficiente che operi nel settore in cui la condotta ha inciso.

b2) Il lavoratore agisce secondo il rito ordinario a tutela del proprio interesse individuale.

L’art.28 legittima ad instaurare il procedimento di repressione della condotta antisindacale solo gli organismi locali dei sindacati nazionali. Di solito si tratta degli organismi territoriali di categoria a livello provinciale. Per questo motivo sono escluse le r.s.a. e le r.s.u., in quanto organismi sindacali aziendali di rappresentanza; sono escluse poi anche le Federazioni nazionali di categoria.

Legittimato passivo è il datore di lavoro, sia privato che pubblico, a prescindere dalla dimensione aziendale, mentre viene esclusa la legittimazione passiva delle associazioni imprenditoriali che abbiano posto in essere comportamenti lesivi.

Le fasi del procedimento di repressione della condotta antisindacale. Le sanzioni penali previste dall’art.28 St. Lav.

  • Il procedimento si apre con una fase sommaria dinanzi al giudice di primo grado del luogo in cui è posto in essere il comportamento denunziato.
  • Il giudice deve consentire un contraddittorio, convocando le parti entro due giorni. In questa fase l’istruttoria è svolta semplicemente con l’assunzione di sommarie informazioni. Il sindacato ricorrente non è obbligato a provare la sussistenza in concreto del periculum in mora, perché l’interesse sindacale è per definizione meritevole di siffatta tutela.
  • La decisione della fase sommaria avviene con decreto motivato immediatamente esecutivo. Pertanto, se la domanda del sindacato è accolta, il datore di lavoro deve conformarsi subito all’ordine del giudice e protrarre tale ottemperanza anche durante le more dell’eventuale opposizione.
  • Nel decreto il giudice ordina al datore di lavoro la cessazione del comportamento antisindacale e la rimozione degli effetti. Per l’emanazione dell’ordine del giudice non è necessario che la lesione dell’interesse sindacale si sia verificata, ma è necessario che il datore di lavoro abbia maturato la condotta e gli effetti della medesima permangano.
  • La parte soccombente (sia essa il datore di lavoro o il sindacato) può proporre opposizione contro il decreto entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione di cancelleria davanti allo stesso giudice della fase sommaria.

L’art.28 ha previsto poi l’irrogazione di una sanzione penale (art.650 c.p.) consistente nell’arresto del datore di lavoro fino a tre mesi o con l’ammenda, come tecnica per indurre il datore di lavoro ad eseguire l’ordine del giudice:

  1. Per esempio, in caso di licenziamento antisindacale, il datore di lavoro che non proceda ad eseguire in forma specifica l’ordine del giudice di reintegrazione è soggetto all’applicazione della sanzione penale.
  2. Pertanto, il datore di lavoro, il più delle volte, provvederà a riammettere in servizio il lavoratore al fine di evitare l’ammenda o l’arresto.
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