Inquadramento e funzione del procedimento

L’art. 28 legge n. 300/1970, ha introdotto un procedimento speciale rapido, deformalizzato ed autonomo rispetto alla nuova disciplina del processo del lavoro, volto alla tutela giurisdizionale dei diritti e delle libertà sindacali e ricondotto secondo alcuni o all’ambito dei procedimenti cautelari, o alla categoria dei «procedimenti sommari non cautelati» a contraddittorio differito, o, infine, ai procedimenti sommari di cognizione.

Oggetto del giudizio sono i diritti sociali, individualizzati nei lavoratori, che l’ordinamento garantisce:

  • riconoscendo a livello di diritto sostanziale un diritto soggettivo proprio al rispetto dell’attività e della libertà sindacale nei luoghi di lavoro
  • attribuendo alle associazioni sindacali un’azione collettiva e suppletiva rispetto alle azioni ordinarie a tutela del diritto suddetto.

L’oggetto sostanziale del procedimento è la repressione della condotta antisindacale e, più precisamente, di tutti quei comportamenti del datore di lavoro, sia privato che pubblico, «diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà o della attività sindacale nonché del diritto di sciopero».

Per integrare gli estremi della condotta antisindacale è sufficiente che il comportamento denunciato leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, né nel caso di:

  • condotte tipizzate perché consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali)
  • condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale. Ciò che il giudice deve accertare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a ledere la libertà sindacale e del diritto di sciopero

Potranno formare oggetto di censura:

  • comportamenti lesivi dei diritti propri delle associazioni sindacali come ad es. la mancata trattenuta sul salario dei contributi che i lavoratori intendono versare all’associazione
  • comportamenti lesivi direttamente dei diritti propri dei lavoratori che solo indirettamente sono riconducibili alle associazioni sindacali. Si pensi all’impedimento a partecipare ad una assemblea o, comunque, a svolgere attività sindacale
  • il licenziamento illegittimo per motivi antisindacali.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che il comportamento lamentato dovrà essere comunque in atto al momento della proposizione dell’azione tenuto conto che il procedimento stesso è necessariamente diretto ad ottenere una pronuncia costitutiva e non di mero accertamento. Se, al momento della decisione, il comportamento antisindacale non sia più attuale, né siano attuali i suoi effetti, occorre pronunciare la cessazione della materia del contendere, disponendo sulle spese in base al principio della soccombenza virtuale.

Sono legittimati a proporre l’azione solo gli organismi locali dei sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale. Il lavoratore interessato all’accoglimento del ricorso potrà spiegare intervento adesivo dipendente o proporre impugnazione incidentale adesiva.

La giurisprudenza di merito ha precisato che la legittimazione attiva dei sindacati «che vi abbiano interesse», non implica che l’organismo sindacale che agisce debba fare riferimento solo ad interessi sindacali della propria associazione o dei propri iscritti. Al contrario, ciò che giustifica la legittimazione di ciascuno degli organismi sindacali è il suo interesse al ripristino, nella specifica azienda in cui le condizioni di libertà sindacale e di rispetto dei diritti sindacali siano state lese, del rispetto dei diritti sindacali e della legittima azione sindacale.

Sono legittimati passivi all’azione soltanto i datori di lavoro, non le associazioni sindacali dei datori di lavoro nè i dirigenti.

Il procedimento si distingue in 2 fasi di giudizio:

  1. nella prima che si conclude con decreto, si compie un accertamento sommario circa la sussistenza delle condizioni utili all’emanazione del provvedimento richiesto
  2. nella successiva ed eventuale fase di opposizione, invece, si svolge un ordinario giudizio di cognizione che si conclude con sentenza destinata a passare in giudicato.

La preclusione conseguente alla mancanza di opposizione è limitata alla verifica della sussistenza delle condizioni richieste per l’emanazione del provvedimento. Infatti, nella prima fase il giudice non procede all’accertamento pieno del diritto violato ma il suo decreto, in difetto di tempestiva opposizione, diviene comunque incontrovertibile.

Non accade così in caso di opposizione, in quanto svolgendosi con essa un giudizio a cognizione piena sull’esistenza e la titolarità del diritto sociale azionato, la sentenza conclusiva dello stesso sarà destinata a passare in giudicato.

Il procedimento

L’atto introduttivo del procedimento assume la forma del ricorso e deve essere depositato presso la cancelleria del tribunale.

Giudice competente in primo grado è, sia per la fase sommaria sia per quella di opposizione, il tribunale in composizione monocratica in funzione di giudice del lavoro (competenza esclusiva e inderogabile).

Giudice d’appello, avverso la sentenza resa a seguito di eventuale giudizio di opposizione, è la corte d’appello.

Per determinare la competenza per territorio in tema di repressione di condotta antisindacale, occorre far riferimento al luogo di commissione del comportamento denunciato o al luogo in cui venga di fatto impedito al lavoratore di svolgere la sua attività di rilevanza sindacale.

Mancando un termine per la contestazione, non sembra che il decorso di un certo lasso di tempo implichi accettazione del comportamento del datore di lavoro. In caso di cessazione della condotta antisindacale, la possibilità di ricorrere al procedimento deve ritenersi preclusa a meno che le circostanze inducano a ritenere che la medesima condotta verrà probabilmente reiterata successivamente.

Il ricorso deve contenere:

  • la chiara indicazione del comportamento che si ritiene antisindacale
  • l’indicazione specifica del provvedimento richiesto.

E’ ammissibile che il giudice tenga conto di fatti successivi o che siano successivamente emersi, con la possibilità che il petitum immediato possa essere successivamente precisato nel corso del giudizio.

La realizzazione del contraddittorio viene assicurata sin dalla fase sommaria: il giudice decide, con provvedimento che assume la forma di decreto, dopo aver «convocato le parti», con le modalità ritenute più opportune per il raggiungimento dello scopo. L’art. 28 stabilisce, inoltre, che il giudice decide «assunte sommarie informazioni»: l’oggetto dell’accertamento è quindi il fumus del diritto sociale dedotto in giudizio del quale si denuncia la lesione.

La decisione del giudice adito dovrebbe essere assunta entro il termine di due giorni; tuttavia, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno ritenuto che si tratti di un termine ordinatorio, la cui inosservanza non incide sul provvedimento.

La fase sommaria si conclude con la pronuncia di un decreto motivato che, se è di accoglimento, contiene l’ordine di cessazione del comportamento illegittimo e di rimozione degli effetti: è un atto immediatamente esecutivo.

E inammissibile una pronuncia di mero accertamento della condotta antisindacale, tenuto conto anche del fatto che il comportamento lamentato dovrà essere comunque in atto al momento della proposizione dell’azione. Sarà possibile esperire l’azione giudiziaria avverso una condotta già conclusa, qualora le circostanze inducano a ritenere che la medesima condotta verrà probabilmente reiterata.

L’efficacia esecutiva del decreto è assimilabile a quella propria del titolo esecutivo. La sua esecuzione avverrà pertanto con le forme dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare.

Vista l’infungibilità della prestazione contenuta nel decreto, che consiste nella cessazione del comportamento denunciato o nella rimozione dei suoi effetti, nel ‘ipotesi in cui non sia possibile eseguirla coattivamente, l’ordinamento fa affidamento sulla pressione psicologica sul datore di lavoro che può conseguire alla sua incriminazione in caso di mancato ottemperamento all’ordine e nella pubblicazione della sentenza penale di condanna (art. 28, commi 4 ° e 5°).

Il provvedimento conclusivo della fase sommaria è emesso con decreto opponibile, il quale viene spesso assimilato al decreto ingiuntivo. In realtà l’accostamento non appare corretto tenuto conto che il decreto ex art. 28 viene sempre emesso nel contraddittorio delle parti e non necessariamente alla presenza di una prova scritta.

Dall’efficacia immediatamente esecutiva del decreto deriva l’avvicinamento di quest’ultimo all’ordine di integrazione di cui all’art. 18 St. Lav., mentre dal contenuto atipico del decreto discende il suo accostamento ai provvedimenti d’urgenza da cui si differenzia per l’assenza della natura cautelare.

Si tratta di un provvedimento speciale e sui generis che essendo disciplinato autonomamente non può essere accostato a nessuno dei provvedimenti suddetti, né si possono applicare le norme ad essi relative per colmare le lacune di disciplina.

Il decreto è opponibile nel termine di 15 giorni dalla sua comunicazione davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Viene considerata equipollente alla comunicazione del decreto la notificazione dello stesso eseguita ad istanza di una delle parti.

Se l’opposizione non viene proposta, il decreto acquista l’incontrovertibilità propria del giudicato.

Il giudizio di opposizione costituisce una fase autonoma ed eventuale del giudizio di primo grado che si conclude con la pronuncia di una sentenza impugnabile avanti alla Corte di appello. Con l’opposizione si apre un ordinario giudizio a cognizione piena nel quale possono essere proposte anche eccezioni non dedotte nella fase sommaria.

L’efficacia esecutiva del decreto opposto non può essere revocata fino alla sentenza che definisce il giudizio di opposizione.

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