Di grande importanza è l’art. 28 St. lav., il quale prevede un procedimento giudiziario urgente per la repressione della condotta antisindacale . L’istituzione di un procedimento del genere presuppone l’individuazione di una nuova fattispecie illecita, appunto la condotta antisindacale, la cui nozione, tuttavia, è di carattere teleologico piuttosto che tipologico: il comportamento illegittimo, infatti, viene individuato non in base ad una descrizione strutturale del medesimo, bensì con riferimento alla sua attitudine ad impedire o limitare l’esercizio dei diritti predetti.

Deve quindi ritenersi antisindacale un qualsivoglia comportamento datoriale che abbia leso, o anche tentato di ledere, i diritti o i beni in questione. Non può tuttavia reputarsi antisindacale un comportamento semplicemente avverso al sindacato: per essere qualificato tale, infatti, il comportamento datoriale deve risultare oggettivamente lesivo di un interesse sindacale giuridicamente protetto. La lesione del bene sindacale può esservi anche se il provvedimento danneggia, in via immediata, il singolo lavoratore, caso questo in cui si suole parlare di comportamento plurioffensivo.

Il procedimento, comunque, si sviluppa concretamente nel seguente modo:

  • l’organismo locale dell’associazione nazionale, qualora ritenga che si sia verificato un comportamento antisindacale, può ricorrere al giudice del lavoro.
  • il giudice del lavoro, entro due giorni dalla proposizione della domanda, qualora ritenga sussistente la violazione, ordina al datore di lavoro, con un decreto motivato, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti da esso provocati.

È previsto un dispositivo di coazione indiretta all’osservanza del decreto, dal momento che l’inottemperanza al medesimo è punita ai sensi dell’art. 650 c.p. Come sanzione aggiuntiva per il datore di lavoro, infine, è prevista la pubblicazione della relativa sentenza penale di condanna

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