La tutela prevista in caso di licenziamento nullo o orale ha ad oggetto la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il diritto al risarcimento integrale del danno, senza predeterminazione di un limite massimo. L’ordine di reintegrazione comporta la persistenza giuridica del rapporto di lavoro e, quindi, l’inidoneità del licenziamento nullo o comunicato in forma orale a produrre l’effetto estintivo.
Il fatto che la reintegrazione debba avvenire “nel posto di lavoro” implica che il lavoratore deve essere riassegnato alle stesse mansioni e nello stesso luogo in cui era occupato all’atto del licenziamento, salvo il caso di impossibilità assoluta. Per adempiere all’ordine di reintegrazione, il datore di lavoro deve invitare il lavoratore a riprendere servizio e impartirgli le istruzioni necessarie per l’effettivo ripristino dell’attività lavorativa.
Nel caso in cui il lavoratore non riprenda servizio entro 30 giorni dall’invito rivoltogli dal datore di lavoro, il rapporto di lavoro si intende risolto. Può accadere che il datore di lavoro non adempia spontaneamente all’ordine di reintegrazione. In questa ipotesi, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il lavoratore non possa chiedere l’esecuzione coattiva dell’ordine di reintegrazione, poiché questa è incoercibile e presuppone una attività di cooperazione da parte del datore di lavoro che è infungibile.
Anche in mancanza di effettivo reinserimento in servizio, il rapporto di lavoro risulta, comunque, giuridicamente in essere e, quindi, il lavoratore ha diritto di percepire il risarcimento del danno per le retribuzioni perse fino al momento in cui il datore di lavoro non provveda all’effettiva reintegrazione.
La legge prevede che, unitamente alla reintegrazione, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, che è determinato in una indennità commisurata alla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per l’intero periodo intercorrente dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, nonché al versamento per il medesimo periodo dei contributi previdenziali ed assistenziali.
A tal fine, il legislatore precisa che deve farsi riferimento alla “ultima retribuzione globale di fatto” percepita dal lavoratore prima del licenziamento. Dal risarcimento è detratto quanto percepito nel frattempo per lo svolgimento di altre attività lavorative, il cd. aliunde perceptum. Ma, per sanzionare la gravità dell’atto del datore di lavoro, la legge stabilisce che la misura minima di risarcimento, in ogni caso, non può essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione. Il lavoratore è esonerato dall’onere di provare l’esistenza del danno, che è presunto e commisurato alle retribuzioni perse nel periodo di estromissione dal lavoro, salva la prova contraria dell’avvenuta percezione di altri redditi per effetto di attività lavorative svolte nel predetto periodo di estromissione.
Anche per il periodo intercorrente tra l’ordine di reintegra e l’effettiva reintegrazione, ciò che è dovuto al lavoratore non sono le retribuzioni, ma il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni. Danno che è dovuto dal datore di lavoro, perché egli non adempiendo all’ordine giudiziale versa in una situazione di mora credenti. Pertanto, l’indennità prevista dalla legge ha anche una funzione di indiretta coazione dell’adempimento del datore di lavoro all’ordine di reintegra e, allo stesso tempo, di sanzione all’eventuale inottemperanza di tale ordine.
Nel caso in cui l’ordine di reintegra venga successivamente riformato o cassato, il datore di lavoro ha diritto di interrompere il rapporto di lavoro eventualmente ripristinato in adempimento di quell’ordine e di richiedere la restituzione di tutte le somme versate al lavoratore a titolo di risarcimento del danno. Ciò comporta che, laddove abbia ottemperato all’ordine di reintegra, non può richiedere la restituzione delle retribuzioni corrisposte nel periodo intercorrente tra il giorno della spontanea esecuzione della reintegrazione e quello della interruzione della prestazione di lavoro conseguente alla riforma dell’ordine di reintegrazione, in quanto si tratta, appunto, di retribuzioni, ossia del corrispettivo dovuto in rapporto sinallagmatico con una prestazione di lavoro effettivamente resa.