È necessario a questo punto precisare che non tutto ciò che il datore di lavoro eroga ai lavoratori fa parte della retribuzione in senso stretto. Il requisito indefettibile della nozione di retribuzione è l’obbligatorietà dell’attribuzione, mentre la predeterminatezza dell’ammontare e la continuità della corresponsione fungono da indici presuntivi di tale obbligatorietà.

Perché si abbia retribuzione occorre che la prestazione sia dovuta al lavoratore in via necessaria e non eventuale, come compenso di una specifica attività di lavoro ordinario o straordinario, oppure di un periodo di inattività (riposo, interruzione, ) ricompreso nella durata convenzionale e non solo effettiva della prestazione. Viceversa sono da escludere dalla retribuzione tutte le eventuali attribuzioni patrimoniali prive di collegamento anche indiretto con lo svolgimento della prestazione lavorativa e perciò corrisposte in “via eventuale e non necessaria”.

Una simile definizione c. d. onnicomprensiva della retribuzione si rinviene altresì negli artt. 2120 e 2121 c.c., i quali per il calcolo del trattamento di fine rapporto e dell’indennità sostitutiva del preavviso, fanno riferimento a tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale ed ad ogni compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.

Problema particolarmente discusso in dottrina ed in giurisprudenza è quello dell’individuazione delle attribuzioni patrimoniali da far rientrare nel concetto giuridico di retribuzione. Esso inerisce alla sussistenza o meno, nel nostro ordinamento, del principio di omnicomprensività della retribuzione, per il quale essa ricomprende non solo il compenso che costituisce il diretto corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutti gli emolumenti che presentano carattere continuativo, periodico o costante nel tempo.

Tale principio non è privo di risvolti sul piano pratico: primo fra tutti, quello dell’individuazione delle erogazioni che possono essere prese in considerazione per il calcolo di istituti che assumono la retribuzione come base di computo. La giurisprudenza era, in passato, nel senso della omnicomprensività della retribuzione, sostenuta sulla base di una congerie di argomentazioni, delle quali la più rilevante era quella dell’applicazione estensiva dell’art. 2121, c.c..

Oggi, anche a causa della modifica di tale articolo ad opera della L. 297/1982, tale orientamento è mutato e prevale quello per cui non esiste nel nostro ordinamento un concetto monolitico di retribuzione ed è da escludere che l’omnicomprensività valga oltre i casi richiamati espressamente dalla legge e dai contratti collettivi.

 

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