Si preferisce parlare di tempo della prestazione di lavoro, anziché di durata della prestazione di lavoro, perché sia dal punto di vista degli interessi coinvolti, sia dal punto di vista della disciplina applicabile, ciò che rileva è non solo quanto dura la prestazione, ma anche come essa è collocata nel tempo. La legge ha previsto limiti massimi all’orario di lavoro non soltanto per assicurare al lavoratore la possibilità di godere di congrui periodi di tempo libero da destinare alle relazioni familiari e sociali e ai suoi interessi personali, ma anche ed ancor prima, a tutela della salute e della sua integrità psico-fisica. Le violazioni più gravi delle disposizioni poste a presidio di tali interessi sono punite anche con sanzioni di natura amministrativa e penale.

È da notare, peraltro, come la disciplina degli orari di lavoro sia stata tra le più refrattarie ai cambiamenti della produzione e della società. È stata la direttiva 93/104/CE sui tempi di lavoro e di riposo a sollecitare una complessiva rivisitazione e modernizzazione della disciplina nazionale, che è avvenuta con il decreto legislativo 66 del 2003.

La disciplina vigente detta una regolamentazione generale dell’organizzazione degli orari di lavoro applicabile a tutti i “settori di attività pubblici e privati”, anche se, prendendo atto delle diverse caratteristiche del lavoro esistenti nelle varie realtà, prevede un sistema articolato di eccezioni, discipline particolari e deroghe. Tra le deroghe, va ricordata, per la sua importanza, la generale esclusione prevista per i lavoratori, come i dirigenti e il personale direttivo, la cui durata dell’0rario di lavoro “non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi”.

Le linee di tendenza dell’evoluzione normativa non sono univoche. Per un verso, è certamente da registrare la tendenza alla riduzione degli orari di lavoro, perseguita anche dall’azione sindacale, la quale ha provveduto a fissare limiti inferiori a quelli stabiliti dalla legge. E ciò non solo nell’interesse dei singoli lavoratori occupati ad una maggiore durata dei tempi di riposo, ma anche al fine di difendere o sostenere l’occupazione complessiva.

Per altro verso, va anche registrata la sicura spinta alla flessibilizzazione degli orari di lavoro, intesa come variabilità nel tempo della durata e della distribuzione della prestazione. E ciò soprattutto per soddisfare l’interesse dell’impresa al mutevole andamento delle esigenze produttive, ma anche, in qualche misura, per venire incontro all’interesse del lavoratore di personalizzare e conciliare i tempi di lavoro rispetto alle proprie esigenze di vita.

 

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