Diverse considerazioni devono essere svolte con riguardo agli effetti del processo di integrazione europea sul diritto del lavoro nazionale. L’Unione Europea è nata come una Comunità Economica, perché economico era il suo obiettivo, vale a dire la creazione di un grande “mercato comune”. Si concordava “sulla necessità di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso”, ma veniva allo stesso tempo precisato che “una tale evoluzione risulterà dal funzionamento del mercato comune, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali”. +
Il Trattato istitutivo prendeva in considerazione i lavoratori soltanto per regolarne la “libertà di circolazione”, per affermare il principio della parità retributiva tra uomini e donne, ed in poche altre disposizioni in materia di politiche sociali. La fiducia nell’autosufficienza di una logica puramente mercantile si è venuta, però, man mano incrinando, dando spazio ad una dimensione “sociale” che ha assunto un rilievo maggiore nel processo di integrazione europea, sia sul piano dei principi e delle competenze, sia sul piano dei diritti.
Già l’Atto Unico Europeo, con cui il “mercato interno” veniva definito “spazio senza frontiere interne”, ha introdotto l’impegno da parte degli stati membri di promuovere il miglioramento dell’“ambiente di lavoro” per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori, stabilendo che per l’adozione delle direttive in materia fosse sufficiente una maggioranza qualificata. Allo stesso tempo, veniva istituzionalizzata l’azione della Comunità “intesa a realizzare il rafforzamento della coesione economica e sociale”, volta in particolare “a ridurre il divario tra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite”.
Con il Trattato di Maastricht, è stato inserito, tra gli obiettivi, quello di “un elevato livello di occupazione e di protezione”. Inoltre, tutti gli stati membri raggiunsero un Accordo sulla politica sociale, il quale, da un lato, ampliava i settori di intervento della Comunità, ed estendeva la regola della decisione a maggioranza qualificata ad altre materie (quali le condizioni di lavoro, l’informazione e la consultazione dei lavoratori); dall’altro lato, valorizzava il ruolo del “dialogo sociale” con le organizzazioni sindacali già riconosciuto dall’Atto Unico Europeo, inserendo la contrattazione collettiva, sia europea che nazionale, nel processo di formazione riguardante, rispettivamente, le norme comunitarie e quelle di recepimento da parte degli stati membri. Successivamente, l’Accordo sulla politica sociale è stato incorporato nel Trattamento di Amsterdam, divenendo così diritto primario della Comunità.
Nello stesso Trattato, inoltre, è stato introdotto un nuovo titolo sulla “occupazione”, a favore della quale è stata prevista una “strategia coordinata”, volta in particolare alla “promozione di una forza di lavoro competente, qualificata, adattabile e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici”.