Lo speciale apparato di tutela del lavoro predisposto dalla legge e dalla contrattazione collettiva riguarda non qualsiasi forma o modalità di prestazione lavorativa, bensì si rivolge, ed è applicabile, soltanto al rapporto di lavoro subordinato. Non esiste, però, una definizione universalmente utile del lavoro subordinato, e, anzi, in alcuni ordinamenti, manca del tutto una definizione legale. Cosicché, da quando è nato il diritto del lavoro, si è posto il problema di individuare quale sia il lavoro che è oggetto di quel diritto.
In Italia, la ricerca della nozione giuridica di lavoro subordinato deve prendere le mosse dalla disposizione dell’articolo 2094 del codice civile che definisce “prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Tale definizione appare giustapposta a quella del contratto di opera, che, ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile, si realizza “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. L’elemento che caratterizza il lavoratore definito dall’articolo 2049 del Codice Civile, distinguendolo dal lavoratore autonomo, è il vincolo di “subordinazione”, configurabile nella collaborazione prestata “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Secondo l’opinione prevalente e più accreditata, quindi, l’elemento tipico esclusivo del lavoro subordinato è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, ed ai connessi poteri di controllo e disciplinare. Elaborazioni diverse hanno minor seguito, o addirittura sono state già da tempo definitivamente superate.
Così è da dire, anzitutto, per quelle prime ricostruzioni che avevano, originariamente, tentato di inquadrare i rapporti di lavoro sulla base della figura della locazione, distinguendo tra locatio operis, nella quale il prestatore di lavoro cederebbe in locazione le sue mere energie, e locatio operarum, nella quale l’oggetto locato sarebbe il risultato dell’applicazione delle energie stesse.
L’alternativa tra “energie” e “risultato” è stata, poi, ripresa nell’ambito della moderna distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, al fine di ricondurre tra le prime l’oggetto dell’obbligazione del lavoratore subordinato e tra le seconde l’oggetto dell’obbligazione del lavoratore autonomo. Senonché anche tale opinione non è apparsa appagante, tenuto conto del fatto che pure il lavoratore autonomo può obbligarsi ad eseguire un’attività e non un risultato.
Inoltre, anche il datore di lavoro, quando stipula un contratto di lavoro subordinato, lo fa non per ricevere semplicemente le energie del lavoratore, ma in vista del risultato finale che quelle energie possono produrre, cosicché non è agevole distinguere tra il risultato, diretto ed immediato, che sarebbe tipico della prestazione del lavoratore autonomo dal risultato, indiretto e mediato, che l’attività del lavoratore subordinato è preordinata a realizzare.
Infine, la ripartizione del rischio tra il prestatore di lavoro (autonomo o subordinato che sia) e il creditore della prestazione non deriva semplicemente dall’oggetto della prestazione (se di mezzi o di risultato), bensì anche dall’ingerenza o no del creditore della prestazione nell’esecuzione di questa ultima.
In conclusione, l’elemento che caratterizza in modo esclusivo la fattispecie legale “lavoro subordinato” può essere ravvisato unicamente nel vincolo giuridico di subordinazione, rappresentato dalla sottoposizione del lavoratore al peculiare potere direttivo riconosciuto dall’ordinamento al datore di lavoro, e ai connessi poteri di controllo e disciplinare.