Si ha lavoro subordinato quando il lavoro è prestato alle dipendenze e nell’interesse altrui. E’ alla fine del XIX secolo che inizia a sentirsi l’esigenza di tutelare, in maniera più intensa la persona obbligata ad eseguire un lavoro subordinato. Infatti in quel periodo emerge sempre di più l’insanabile contrapposizione di chi detiene i mezzi di lavoro e chi invece è costretto a mettere le proprie energie lavorative al servizio altrui e che per tanto si trova in una posizione di debolezza sul piano socio-economico. Esigenza di tutela che viene soddisfatta con la stipulazione del contratto di lavoro subordinato, che realizza lo scambio tra la prestazione lavorativa e la retribuzione.

Il codice civile non detta una nozione di lavoro subordinato, ma si limita ad individuare una delle parti di tale rapporto, il lavoratore, che l’ art. 2094 del Codice Civile definisce prestatore di lavoro subordinato come colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

L’intensità della tutela prevista dal Codice Civile per il lavoro subordinato pone l’esigenza di individuare l’ambito di applicazione. Ciò però non è sempre facile, anche perchè in alcuni casi la subordinazione può essere attenuata o assumere connotati atipici, come nel caso dei dirigenti.

La giurisprudenza ha utilizzato una pluralità di criteri, quali:

  1.  la continuità della prestazione dalla quale si desume che l’oggetto dell’obbligazione è un’attività e non un risultato.
  2. L’obbligo di rispettare un orario di lavoro
  3. Il carattere fisso e continuativo della retribuzione.

Però nessuno di essi può essere decisivo per l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Il criterio fondamentale resta quello dell’ assoggettamento ad un potere direttivo, inteso come potere di impartire continue e dettagliate istruzioni per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Per determinare la natura del rapporto di lavoro è di per sè irrilevante la denominazione giuridica attribuita dalle parti al contratto, si deve invece privilegiare il comportamento che esse hanno avuto nello svolgimento del rapporto stesso.

Inoltre il legislatore, per ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, ha previsto che le parti possano ottenere una certificazione del contratto da esse stipulato, dinanzi agli organi abilitati dalla legge. Tale certificazione ha effetto tra le parti e verso terzi, salvo che in caso di contestazione, la qualificazione data al contratto risulti erronea o venga accertata una difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Nel primo caso la certificazione è innefficacie ab origine. Nel secondo casdo dal momento in cui ha avuto inizio la difformità.