Con il contratto di lavoro intermittente, “un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo ed intermittente”. Il suo utilizzo è consentito soltanto nei casi in cui ricorrano specifiche “esigenze” giustificative, la cui individuazione è affidata ai contratti collettivi (i quali possono fare riferimento, a tal fine, “anche alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”) o, in mancanza, al Ministero del lavoro. Il contratto di lavoro intermittente, peraltro, può soddisfare, oltre che obiettive e reali esigenze produttive, anche finalità occupazionali.

E così la legge prevede che è sempre consentito l’utilizzo di tale contratto per assumere lavoratori che abbiano più di 55 anni o meno di 24 anni di età (fermo restando che le prestazioni di questi ultimi non possono più essere svolte dal raggiungimento del venticinquesimo anno). È previsto, inoltre, un limite quantitativo superato il quale la prestazione di lavoro non può più essere considerata svolta “in modo discontinuo ed intermittente”.

Infatti, ove vengano svolte più di “quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni”, il rapporto si trasforma a tempo pieno ed indeterminato. Questo limite non è applicabile soltanto nei settori del terziario, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, a ragione delle peculiari caratteristiche dell’organizzazione del lavoro in tali settori. La legge lascia all’autonomia negoziale la possibilità di prevedere o no l’obbligo del lavoratore di rispondere alle singole richieste di prestazioni formulate dal datore di lavoro in base alle proprie esigenze intermittenti e discontinue. Ove tale obbligo non sia previsto, il lavoratore non ha diritto ad alcun trattamento economico e normativo nei periodi in cui la sua prestazione di lavoro non viene utilizzata.

Nel caso in cui, invece, l’obbligo di disponibilità sia stato previsto, al lavoratore spetta una “indennità di disponibilità”. Inoltre, nel contratto, le parti devono specificamente indicare, in forma scritta ad probationem, il luogo e le modalità della disponibilità garantita dal lavoratore, nonché il “preavviso di chiamata” che non può essere inferiore ad un giorno. Tale disciplina consente di ritenere che il contratto di lavoro intermittente non realizzi una lesione della libertà del lavoratore tale da risultare costituzionalmente illegittima.

Ed infatti, nel caso in cui non sia previsto l’obbligo di disponibilità, il lavoratore resta pienamente libero di organizzare il suo tempo libero; nel caso in cui l’obbligo sia previsto, le modalità della disponibilità e il preavviso di chiamata sono contrattualmente definite e, soprattutto, il vincolo assunto dal lavoratore è compensato da uno specifico corrispettivo, la cui misura è determinata dai contratti collettivi e, comunque, non può essere inferiore all’importo fissato dal Ministero del lavoro. L’obbligo di disponibilità eventualmente assunto dal lavoratore comporta anche l’obbligo di informare tempestivamente il datore di lavoro degli eventi che gli impediscano temporaneamente di rispondere alla chiamata, e, durante il periodo di impedimento, l’indennità di disponibilità non è dovuta.

L’inadempimento di tale obbligo di informazione comporta la perdita del diritto all’indennità per 15 giorni, mentre il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare il licenziamento, oltreché l’obbligo di restituire l’indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto. Il contratto di lavoro intermittente deve indicare, oltreché luogo e modalità della disponibilità eventualmente garantita, anche altri elementi, quali: la durata e le ragioni che ne hanno consentito la stipulazione; le modalità che il datore di lavoro deve osservare per la richiesta della prestazione di lavoro; le misure di sicurezza necessarie in relazione alla specifica attività di lavoro.

La legge non prevede quali conseguenze derivino dalla mancanza di tali indicazioni o della prova scritta che esse abbiano formato oggetto di pattuizione. È da ritenere, tuttavia, che, in tali ipotesi, mancando gli elementi (o la prova degli elementi) che caratterizzano il lavoro intermittente, il contratto debba essere considerato un normale contratto di lavoro subordinato assoggettato alla disciplina generale per esso dettata. Al fine di consentire il controllo sulla regolarità dell’impiego del lavoratore intermittente, il datore di lavoro è tenuto a comunicare alla direzione territoriale del lavoro la durata delle singole prestazioni richieste prima dell’inizio di ciascuna di esse o di un “ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni”.

Anche per il lavoro intermittente, infine, sono previsti un divieto e un principio di non discriminazione analoghi a quelli stabiliti in relazione al contratto a termine ed al contratto di somministrazione. Precisamente, il ricorso al lavoro intermittente è vietato: per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; per i datori di lavoro che non effettuano la “valutazione dei rischi”; per le unità produttive che procedono, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ovvero a sospensioni del rapporto o a riduzioni dell’orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni dei lavoratori assunti con contratto di lavoro intermittente.

In base al principio di non discriminazione, il lavoratore intermittente ha diritto ad un trattamento economico e normativo che, per i periodi lavorati, non può essere complessivamente meno favorevole di quello riconosciuto al lavoratore che svolge la propria prestazione in modo ininterrotto. Come è previsto per i lavoratori a tempo parziale, dall’applicazione di tale principio deriva che il trattamento spettante al lavoratore intermittente può essere riproporzionato in ragione della quantità della prestazione effettivamente eseguita. Allo stesso modo, ai fini dell’applicazione delle disposizioni che attribuiscono rilievo alle dimensioni dell’organico dell’impresa, i lavoratori di cui trattasi sono computati “in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre”.

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